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I nomi a dominio come segno distintivo: aspetti regolatori

di Giuseppe Marinelli

La progressiva ed esponenziale crescita dell’utilizzo di Internet a scopi commerciali ha determinato una rapida ed inevitabile revisione delle tradizionali categorie giuridiche.

In tale contesto, l’iter che ha condotto i domain names (sin d’ora, nomi a dominio) all’interno dell’ampia categoria dei segni distintivi ben può simboleggiare, per un verso, l’esigenza di innovazione che permea l’ordinamento giuridico dinanzi al mutamento del contesto economico – sociale, per l’altro, l’importanza del ruolo ricoperto da dottrina e giurisprudenza nell’attività di adeguamento del diritto positivo alle esigenze sostanziali.

Per nome a dominio si intende l’indirizzo identificativo di un sito Internet. Esso assolve alla duplice funzione di consentire all’utente l’accesso al sito medesimo e di distinguere quel determinato spazio digitale da tutti gli altri.

La struttura del nome a dominio consta di tre parti separate da un punto:

  1. un prefisso “www”, che costituisce un elemento attribuito ad ogni sito internet;
  2. un Second Level Domain (SLD), posto nella parte centrale, che viene discrezionalmente selezionato dal titolare dello spazio web ed è idonea a svolgere funzione distintiva e/o identificativa;
  3. un Top Level Domain (TLD), posto in coda, che svolge la funzione tecnica di rendere fruibile all’utenza un illimitato numero di nomi a dominio ed al contempo consente di individuare la tipologia del sito. Sinteticamente, in questa categoria distinguiamo i County code TLD (ccTLD: .it, .es, .us, .ru, ), che contraddistinguono il sito in base ad un determinato ambito territoriale, ed i Generic TLD (gtld: .com, .info, .org, ecc.), che consentono al visitatore di individuare l’attività sostanziale svolta dal titolare del sito.

La procedura di assegnazione di un nome a dominio differisce a seconda della scelta della tipologia di TLD.

Sommariamente, può dirsi che, laddove si voglia registrare un dominio con ccTLD, a governare tale procedimento è un’autorità amministrativa nazionale. Per l’Italia – rectius, per l’assegnazione del dominio .it -, la richiesta di registrazione andrà avanzata al Registro dei Nomi Assegnati.

Diversamente, ove si voglia accedere ad un dominio con gtld, a presiedere l’iter vi sarà l’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers).

Il sistema di assegnazione non ha carattere discrezionale e si basa sull’applicazione rigida di due principi:

  1. il primo, di carattere tecnico, dell’unicità del nome a dominio, in ragione del quale non possono coesistere nel web due domini identici;
  2. il secondo, di ordine convenzionale, è esemplificato dalla formula “first come first served”, in virtù del quale l’unico elemento che dirime una pluralità di richieste del medesimo nome a dominio è la precedenza temporale della richiesta.

Come anticipato, a consacrazione di un travagliato percorso interpretativo, il Legislatore ha espressamente qualificato i nomi a dominio alla stregua di segni distintivi, menzionando tale figura all’interno del Codice della Proprietà Industriale (sin d’ora, CPI), agli articoli:

  • 12 co. 1 lett b), rubricato “Novità”, il quale nell’ottica di assicurare tutela ai soli marchi registrati aventi carattere innovativo e reale portata distintiva ed individualizzante, preclude la registrazione di un marchio d’impresa nel caso in cui il nome a dominio sia di fatto già utilizzato da altri soggetti;
  • 22, rubricato “Unitarietà dei segni distintivi”, in forza del quale – a contrario – è preclusa la possibilità di utilizzare nomi a dominio identici o simili ad un marchio altrui, ove si rischi di determinare confusione per il pubblico o si approfitti della rinomanza dell’altrui marchio;
  • 118 co. 6 e 133, di portata processuale, i quali abilitano i rimedi della revoca e del trasferimento dell’assegnazione del nome a dominio e facoltizzano la tutela cautelare inibitoria.

Orbene, un miglior inquadramento giuridico della fattispecie in esame deve abbracciare l’intero spettro delle norme che disciplinano i segni non registrati ed ovvero gli articoli 2, comma 4 e 12, comma 1 lett. a) ed f)  CPI e 2571 Codice Civile.

L’art. 2 co. 4 CPI, per quel che qui interessa, sancisce che «Sono protetti …  i segni distintivi diversi dal marchio registrato …». La disposizione va necessariamente integrata con le ulteriori sopra menzionate, che specificano quanto sancito dall’art. 2571 CC, per il quale «Chi ha fato uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente ne è valso».

Focalizzando l’attenzione sull’art. 12, invece, si evidenzia che una analisi congiunta e speculare delle lettere a) e b) consentirà di delineare la disciplina giuridica del nome a dominio e di tratteggiare gli effetti giuridici della sua assegnazione, con particolare riferimento al caso di contrasto tra marchio registrato e nome a dominio uguale o simile al marchio.

Questi i quesiti: quali conseguenze giuridiche comporta l’assegnazione di un nome a dominio identico o confondibile con un marchio registrato precedentemente? E quali altre derivano dalla registrazione di un marchio successiva all’assegnazione di un nome a dominio identico ad esso?

La disposizione sancisce che è preclusa la registrazione come marchio di impresa ai segni che, alla data del deposito della domanda:

  • siano “identici o simili” ad un “segno già noto” come marchio o segno distintivo di prodotti o servizi “identici o affini, se” a causa dell’identità o somiglianza tra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi possa determinarsi un “rischio di confusione per il pubblico”.
    L’uso precedente del segno, tuttavia, non toglie novità, ergo rende registrabile il marchio, quando il preuso non importi “notorietà” di esso, o importi notorietà puramente locale.
    In tal caso – si badi, tale porzione di testo non è prevista dalla successiva lett. b, maggiormente interessante ai nostri fini -, il “terzo preutente ha diritto di continuare nell’uso del marchio”, nonostante la registrazione del marchio stesso [lett. a)];
  • siano “identici o simili” a un segno già noto come “nome a dominio usato nell’attività economica” se “a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra l’attività di impresa da questi esercitata ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico”.

“L’uso precedente del segno”, tuttavia, non toglie la novità quando non importi notorietà di esso o importi notorietà puramente locale [lett. b)].

Emerge, pertanto, una equiparazione al marchio registrato del marchio di fatto con notorietà generale ed al contempo l’attribuzione al preutente del diritto a protrarre l’uso del segno distintivo di notorietà locale, seppur nei limiti spaziali di diffusione sino ad allora raggiunti.

L’accertamento del preuso è legato alla dimostrazione dell’uso effettivo e non sporadico del segno; diversamente, il carattere di notorietà generale e/o locale è dato dall’ampiezza del mercato di riferimento del soggetto utilizzatore.

Giova, a questo punto, procedere ad un breve excursus sui presupposti e sugli effetti della registrazione del marchio.

Chiunque utilizzi o si proponga di utilizzare un segno idoneo ad essere rappresentato graficamente può procedere alla registrazione del medesimo, al fine di ottenere la tutela prevista dalla legge, purché il segno possieda i requisiti di capacità distintiva, novità e liceità.

Il procedimento amministrativo finalizzato alla registrazione è condotto dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, il quale è tenuto d’ufficio a verificare l’assenza dei soli cosiddetti impedimenti assoluti (mancanza di capacità distintiva, inidoneità del segno ad essere rappresentato graficamente, illiceità). L’Ufficio, tuttavia, non è tenuto a verificare la presenza degli impedimenti relativi, che riguardano i potenziali conflitti con terzi soggetti.

A carico di ciascun soggetto depositante, pertanto, vi sarà l’onere verificare l’inesistenza di diritti di soggetti terzi sul segno medesimo, al fine di evitare di incorrere nelle azioni poste a presidio dei marchi registrati previste dal CPI.

Se così fosse, tuttavia, i soggetti intenzionati a depositare un marchio dovrebbero scandagliare tutta la rete Internet al fine di escludere una potenziale coesistenza tra il segno depositato ed eventuali nomi a dominio identici o simili, usati in attività economiche.

Il preuso di un nome a dominio determina, inoltre, una ulteriore questione, legata alla possibilità o meno di considerare di notorietà puramente locale un contenuto online.

In che modo, quindi, dirimere i conflitti tra i titolari i marchio registrato ed i titolari di nomi a dominio uguali ad essi? La risposta al quesito differirà a seconda del caso in cui il marchio sia registrato prima o dopo l’assegnazione del nome a dominio a diverso soggetto.

Nel primo caso, non vi sono dubbi, vi sarà violazione del marchio. Ci si troverà, in sostanza, dinanzi ad una tipica manovra confusoria diffusa in rete, che va sotto il nome di domain grabbing o cyber squatting. Al titolare del marchio sarà concesso di agire mediante tutela inibitoria, richiedendo la rivendica, la revoca o il trasferimento del nome a dominio.

Nel secondo caso, invece, la vicenda si complica. Come visto, la tutela dei segni distintivi non titolati è piena laddove questi godano del requisito della notorietà generale. A ricevere protezione sarà, in tale caso, il titolare di nome a dominio utilizzato nell’attività economica (nozione più ampia rispetto alla mera attività aziendale o d’impresa). Questi potrà opporsi alla registrazione del marchio sin dalla fase amministrativa.

Differentemente, non vi sarà tutela alcuna del preutente del domain name non avente rinomanza generale. Due evidenze depongono in tal senso: la diffusione online non può mai considerarsi di carattere meramente locale; il dato testuale dell’art. 12 lett. b) non prevede la facoltà del preutente di proseguire nell’utilizzo del marchio nei limiti della diffusione locale. In tale situazione, pertanto, il soggetto assegnatario del nome a dominio sarà un mero titolare di uno spazio web, sfornito di protezione.


Bibliografia

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  2. Trevisan & Cuonzo Avvocati, “Proprietà industriale, intellettuale e IT”, 2013, Milanofiori Assago;
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  4. Aranguena G., “Nome a dominio e tutela del marchio verso la social property: il cybergrabbing come slealtà commerciale e il nuovo enforcement del diritto della concorrenza e dei consumatori”, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, XXVIII, 6, 2013

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