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Con il provvedimento n. 430 del 28 settembre 2023, il Garante Privacy ha creato molti punti di domanda rispetto all’applicazione dell’art. 64 ter della Riforma Cartabia, noto come “Diritto all’oblio degli imputati e degli indagati”.

Nella vicenda in esame un individuo, al quale ci riferiremo con il nome di X, ha affrontato un procedimento penale conclusosi con un decreto di proscioglimento nei propri confronti. Desideroso di ristabilire la sua reputazione professionale, X ha presentato una richiesta di deindicizzazione a Google, rafforzandola sulla base dell’art. 64 ter della Riforma Cartabia, che prevede la deindicizzazione delle notizie riguardanti un procedimento penale per cui si ha ottenuto l’archiviazione o il non luogo a procedere.

Tuttavia, la sua richiesta è stata respinta dal motore di ricerca, pertanto X ha interpellato il Garante per la Protezione dei Dati Personali. Sorprendentemente, anche questa istanza è stata rifiutata.

Il presente approfondimento si propone, oltre che di offrire una panoramica in merito all’art. 64-ter della Riforma Cartabia, di esaminare la posizione assunta dal Garante in relazione al ricorso presentato da X e le criticità emerse dalla decisione assunta dal Garante medesimo.

La disposizione dell’art. 64 ter disp. att. c.p.p

Per un maggiore comprensione della vicenda oggetto del presente articolo, risulta necessario soffermarsi brevemente sull’art. 64 ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, introdotto dal D.lgs. 150/2022 (la c.d. riforma Cartabia), entrato in vigore il 30 dicembre 2022.

Lo scopo di tale normativa mira a garantire una tutela adeguata agli individui che sono stati oggetto di procedimenti giudiziari conclusisi con un decreto di proscioglimento o di non luogo a procedere, consentendo la possibilità di richiedere ai motori di ricerca che informazioni sensibili connesse al procedimento giudiziario archiviato non siano più facilmente reperibili. L’obiettivo è quello di equilibrare il diritto alla privacy degli individui con l’accesso pubblico alle informazioni giudiziarie, riducendo il rischio che notizie ormai non più rilevanti possano arrecare danni permanenti alla reputazione delle persone coinvolte.

Gli interessati nei confronti di cui sia stato emesso un provvedimento di proscioglimento o archiviazione possono quindi richiedere l’applicazione dell’art. 64 ter secondo due modalità: ex ante ed ex post.

1.     Ex ante:

Nel primo caso, è possibile richiedere al giudice che ha emesso il provvedimento, la “preclusione alla indicizzazione“, evitando così completamente l’indicizzazione attraverso un’annotazione apposita sul provvedimento stesso, rilasciata dalla cancelleria del giudice ai sensi e nei limiti dell’art. 17 del regolamento (UE) 2016/679.

Il Garante si è espresso nel merito all’interno della relazione illustrativa per l’approvazione dell’art. 64 ter, sostenendo che il richiamo all’art. 17 GDPR presenta delle incongruenze con l’obiettivo inibitorio della misura. In aggiunta, lo stesso Garante aveva suggerito di estendere la preclusione di indicizzazione non solo del provvedimento, ma a tutti i contenuti riguardanti la vicenda, a causa dei danni reputazionali che possono derivare dalla narrazione mediatica di una vicenda giudiziaria, rispetto che alla diffusione del provvedimento stesso. (cfr. Parere preventivo Garante Privacy)

2.     Ex post:

Se invece il Richiedente intendesse limitare l’accesso ad informazioni già rese pubbliche, è necessaria la richiesta di un’attestazione di “idoneità ad ottenere la deindicizzazione”. Anche per tale modalità

si esige un’annotazione da parte della cancelleria del giudice, la quale dovrà valutare l’istanza ai sensi e nei limiti dell’art. 17 del regolamento (UE) 2016/679.

In questo caso, il commento del Garante sottolinea che il richiamo è pensato per appellare l’istituto del diritto all’oblio nella sua totalità. A differenza delle considerazioni sul divieto di indicizzazione, il Garante ha reputato la soluzione coerente con la classificazione degli interessi giuridici specifici e conforme al rispetto della disciplina di protezione dei dati. La scelta di un rinvio mobile indica una presunzione relativa di fondatezza dell’istanza, lasciando un margine di discrezionalità al gestore del motore di ricerca per decidere sulla deindicizzazione. Tuttavia, nel caso di mancato adempimento da parte del motore di ricerca, l’interessato mantiene la facoltà di rivolgersi al Garante della Privacy, preservando così una possibilità di bilanciamento in concreto.

Risulta pertanto ambigua la posizione del Garante, dal momento in cui da un lato, con riferimento alla modalità di applicazione dell’art. 64-ter ex ante, lo stesso esorta la preclusione di indicizzazione, enfatizzando la necessità di estendere tale misura non solo per le pubblicazioni dei provvedimenti in sé, ma anche per gli articoli di narrazione mediatica, sostenendo che il richiamo all’art. 17 non è del tutto idoneo, dal momento in cui lascia l’ultima parola al titolare del trattamento.

Dall’altro lato invece, in merito alla modalità di applicazione ex post, invoca lo stesso art. 17 GDPR per quanto riguarda la richiesta di deindicizzazione di notizie già pubblicate, lasciando discrezionalità al Titolare del trattamento per procedere o no all’approvazione della richiesta.

L’obiezione all’applicazione del art. 64-ter

Nel contenzioso aperto da X nei confronti di Google LLC, il motore di ricerca sostiene che alcune delle pubblicazioni per cui X richiedeva la deindicizzazione erano da considerarsi estremamente recenti e di sostanziale interesse per il pubblico in quanto aggiornate in accordo con i risvolti processuali che hanno visto l’archiviazione della vicenda e pertanto non vi erano i presupposti per procedere alla loro deindicizzazione.

In tale contesto, il Garante per la protezione dei dati personali si trova in accordo con il motore di ricerca, sostenendo che “nell’ambito di applicazione dell’art. 64-ter, facendo salvi i limiti dell’art. 17 del Regolamento, pone una presunzione relativa e non assoluta in merito all’accoglibilità dell’istanza di deindicizzazione dell’interessato”. Infatti, oltre a dover valutare il bilanciamento tra il diritto alla collettività ad essere informata e il diritto dell’interessato alla protezione dei propri dati personali, è necessario che vengano tenuti in considerazione anche il fattore temporale, la rilevanza pubblica della notizia e il ruolo ricoperto nella sfera pubblica dal soggetto coinvolto.

Nel merito il Garante ha dato minor valore al pregiudizio reputazionale cagionato dal solo fatto della presenza del proprio nome all’interno di un procedimento giudiziario, indistintamente dai suoi risvolti, rispetto al fatto che la richiesta non fosse in accordo con i parametri previsti dall’art. 17 del GDPR, in quanto gli articoli fossero funzionali a dar conto alla collettività degli esisti favorevoli della vicenda, considerando l’attinenza dell’oggetto del procedimento archiviato con la vita professionale di X.

Per tali motivazioni il Garante per la protezione dei dati personali ha ritenuto infondato il reclamo presentato da X contro Google LLC, e pertanto non è stata presa alcuna misura per rendere le notizie non più accessibili tramite la mera ricerca nel web del nome dell’interessato, a discapito delle disposizioni previste dall’art. 64.ter disp. att. c.p.p della Riforma Cartabia.

Criticità della decisione del Garante

Prendendo in esame il provvedimento n. 430, pubblicato il 28 settembre sul sito ufficiale del Garante per la protezione dei dati personali, emergono alla luce delle criticità correlate alla decisione del Garante, tra queste troviamo:

1.     Mancata distinzione tra eliminazione e deincizzazione:

In primo luogo, la richiesta di deindicizzazione mossa da X nel rispetto dei principi stabiliti dall’art. 64-ter della Riforma Cartabia, va ben distinta da una richiesta di rimozione/cancellazione dei dati. Invero, attraverso la deindicizzazione non si compromettono le pubblicazioni presenti online, bensì si rendono non accessibili tramite la ricerca di determinate parole chiave (nel caso di specie il nome dell’interessato), ma le notizie rimangono disponibili se si utilizzano altri criteri o keywords di ricerca. La situazione è differente se invece si richiede l’eliminazione totale dei contenuti, in quanto la pubblicazione è più accessibile, in nessun modo, attraverso la ricerca online.

All’interno del provvedimento viene riportato quanto segue: “occorre tuttavia considerare che la predetta norma stabilisce che i provvedimenti in essa richiamati…costituiscono titolo per ottenere un provvedimento di sottrazione dall’indicizzazione dei contenuti riferiti…ma pur sempre “ai sensi e nei limiti dell’art. 17 del Regolamento UE 2016/679”. Tra le eccezioni che quest’ultimo pone vi è quella legata alla necessità di garantire il corretto espletamento della libertà di espressione e di informazione.

A tal proposito, la richiesta di deindicizzazione, rafforzata dall’annotazione in calce della cancelleria del Giudice per l’applicazione dell’art. 64-ter disp. att. c.p.p, risulta un’azione adeguata ai fini di poter garantire da un lato il diritto di libera espressione e informazione e dall’altro il diritto di X, come soggetto giuridico assolto, di non essere più correlato alla vicenda giudiziaria, con l’obiettivo di mettere un punto agli effetti pregiudizievoli che si manifestano tra la collettività e che rischiano di permanere indipendentemente dall’esisto della vicenda. Pertanto, non è chiaro come la mera deindicizzazione delle url richieste avrebbe causato un cagionevole danno al diritto della comunità di essere informata.

2.     L’insufficienza del solo aggiornamento delle notizie

In secondo luogo, una tra le motivazioni per cui non è stato dato luogo a procedere alla deindicizzazione delle notizie richieste da X è che esse risultano aggiornate, in quanto al loro interno viene dato atto dell’intervenuta archiviazione nei confronti di X, fornendo pertanto informazioni attuali in riferimento alla vicenda che lo ha coinvolto.

Nel merito, lo stesso Garante si è espresso con il provvedimento del 23 marzo 2023, sostenendo che “a prescindere dalla citata rettifica che il reclamante potrà richiedere, la reperibilità in rete dei contenuti descritti, agevolata dai motori di ricerca, determina un pregiudizio ai diritti dell’interessato non proporzionato in rapporto alle esigenze manifestate dagli Editori di assicurarne un’informazione completa sulla vicenda giudiziaria”. (Registro dei provvedimenti n. 106 del 23 marzo 2023) Tale posizione è stata presa a favore di un individuo che ha svolto il ruolo di “risk manager” in Società Autostrade e che nel 2013 ha individuato per la prima volta il rischio di crollo del Ponte Morandi, riportando gli esisti di tale approfondimento alle parti competenti. Il soggetto fu dichiarato nel 2018 dalla Guardia di Finanza come “persona informata sui fatti e non indagata”. Nonostante ciò, la narrazione mediatica fu differente e vennero pubblicati vari articoli dove si rivelava una conversazione telefonica intercorsa tra il soggetto coinvolto e il padre, nella quale si riportava in sintesi l’audizione da parte della Guardia di Finanza. Considerando che l’individuo non era tra i soggetti indagati/imputati, la presenza online di tali contenuti creò gravi pregiudizi reputazionali nei suoi confronti e pertanto venne richiesta la deindicizzazione degli articoli alle case editoriali in questione, che furono rigettate.

Il Garante Privacy ha pertanto generato controversia affermando da un lato che, per un soggetto non più coinvolto all’interno di un procedimento penale, il solo aggiornamento/rettifica dei contenuti non è sufficiente per garantire il diritto all’oblio, mentre dall’altro con il Provvedimento del 28 settembre ha sostenuto che non vi sono i presupposti per ottemperare alla richiesta di deindicizzazione di X in quanto le notizie risultano aggiornate e rilevanti per la collettività, nonostante anche quest’ultimo avesse ottenuto la pronuncia di un decreto di archiviazione nei propri confronti, rafforzato dall’annotazione per l’applicazione del diritto all’oblio per gli imputati.

3.     La precarietà dell’art. 64-ter disp. att. c.p.p

Per ultimo, la criticità della sentenza risiede a priori, ovvero nella formulazione della normativa stessa, in quanto sebbene l’art. 64-ter si presenti come innovativo ed in grado di salvaguardare le ripercussioni reputazionali legate al solo coinvolgimento di un individuo all’interno di un procedimento penale, esso sembra applicarsi solamente dal punto di vista simbolico.

Infatti, all’interno del “Parere sullo schema di decreto legislativo di attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134”, il Garante afferma che: “Va, certamente, segnalato che la norma non presenta carattere realmente innovativo, dal momento che secondo la giurisprudenza e la prassi costante del Garante, l’esito favorevole del procedimento penale assurge a parametro rilevante, da considerare ai fini della decisone dell’istanza di deindicizzazione.” In altre parole, si sostiene che la conclusione del procedimento penale a favore di un individuo risulta già un parametro utilizzato per l’approvazione o no delle istanze di esercizio del diritto all’oblio e comunque sia, esse vanno sempre analizzate ai sensi e nei limiti dell’art. 17 del regolamento (UE) 2016/679.

Di conseguenza, la formulazione della norma e i pareri ufficiali espressi nel merito, sembrano non essere in grado di preservare efficacemente il diritto all’oblio digitale degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini, nonostante come nel ricorso presentato da X nei confronti di Google LLC vi siano i presupposti per metter fine alla gogna mediatica causata dalla vicenda presa in esame.

Conclusioni finali

In conclusione, alla luce delle analisi condotte, sono sorte due questioni di rilievo che richiedono un’attenta riflessione.

In primo luogo, emerge con evidenza la necessità di delineare con maggiore precisione i confini applicativi dell’art. 64 ter. La norma, volta a garantire il diritto all’oblio degli individui coinvolti in procedimenti giudiziari conclusi con un decreto di proscioglimento o di non luogo a procedere, attualmente offre uno spazio interpretativo che può condurre a esiti eterogenei e, in alcuni casi, ambigui. È imperativo che vengano stabiliti criteri più definiti e parametri chiari per orientare l’applicazione di questa disposizione, al fine di evitare incertezze e controversie nel suo utilizzo, come evidenziato nel caso di X e Google LLC.

In secondo luogo, la necessità di una uniformità nell’applicazione delle norme relative al diritto all’oblio è emersa come problematica cruciale. Infatti, nonostante sia stata approvata un’apposita legge per garantire il diritto alla cancellazione dei propri dati in caso di proscioglimento in un procedimento penale, il rimando all’art. 17 del GDPR è costante e spesso equivoco. Invero, come approfondito nel corso del paragrafo “Esplorazione art. 64 ter disp. att. c.p.p”, da un lato il Garante Privacy esorta alla rimozione del richiamo all’art. 17 per evitare nuove pubblicazioni di notizie relative al procedimento penale. Dall’altro lato, tuttavia, riconosce la validità di tale riferimento per la gestione delle informazioni già pubblicate e dibattute dalla collettività. La mancanza di coerenza nelle interpretazioni e nell’applicazione delle normative da parte delle diverse autorità crea un contesto in cui le decisioni possono variare considerevolmente, mettendo a repentaglio la protezione dei dati personali degli interessati.

Rimane aperto l’interrogativo se, le future evoluzioni legislative saranno in grado di definire e applicare con maggiore chiarezza e concretezza il perimetro di applicazione del diritto all’oblio e dell’art. 64 ter, garantendo così una tutela efficace sia del diritto individuale alla privacy che dell’interesse pubblico alla conoscenza e alla trasparenza.

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