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La dittatura dei dati: big data, social e distorsioni

Brevi note a Brittany Kaiser, La dittatura dei dati, ed. HarperCollins, Milano, 2019, trad. Caterina Chiappa

di Manuela Bianchi


La dittatura dei dati è il resoconto autobiografico del periodo dal 2014 ai giorni nostri raccontato da Brittany Kaiser, conosciuta anche come la “talpa” di Cambridge Analytica.

All’inizio del racconto l’autrice, dottoranda di ricerca all’università del Middlesex, attivista politica, progressista, nonostante la giovane età aveva già partecipato alle campagne elettorali di Barak Obama, aveva girato il mondo seguendo e sostenendo cause umanitarie e combatteva per il riconoscimento dei diritti civili. Nel 2014 aveva conosciuto a Londra, attraverso un comune amico, Alexander Nix, amministratore delegato di SCL Group (Strategic Communications Laboratories), azienda britannica che si occupava di campagne elettorali. Attiva da venticinque anni, SCL Group aveva ottenuto numerosi contratti di appalto nel settore della difesa e aveva gestito le elezioni in vari Paesi del mondo. La sua missione, a detta del CEO, era far eleggere presidenti e primi ministri e, in molti casi, assicurarsi che stessero al potere. Kaiser iniziò così a lavorare per SCL a stretto contatto con Nix, coprendo il ruolo, tra il 2015 e il 2018, di direttrice del Business Development. Poco dopo, Nix fondò Cambridge Analytica (di seguito, “CA”), società costola di SCL, che iniziò a sostenere la campagna di Cruz e poi, quando questo uscì dai giochi, quella di Trump per le elezioni del 2016. L’autrice, già coinvolta in altre campagne elettorali in giro per il mondo (Nigeria, sud est asiatico, Caraibi etc.), iniziò in quel periodo ad avere a che fare non solo con Alexander Nix, ma anche con tanti altri nomi, tra cui la famiglia Mercier, diventati famosi a seguito dello scandalo Datagate, che coinvolse proprio CA e, di riflesso, Facebook. Kaiser era stata testimone (in)consapevole di quanto avveniva all’interno dell’azienda, soprattutto con riferimento alla predetta campagna elettorale di Trump nel 2016, così come alla campagna del partito Leave.eu per il referendum Brexit.

A tal proposito, già nel 2015 un articolo sul Guardian, a firma Harry Davies, aveva accusato CA di aver comprato o comunque di avere ottenuto illegalmente da Facebook i dati di milioni di utenti, violando i termini di utilizzo del social network. Il giornalista spiegava in particolare che CA aveva ottenuto e usava le informazioni private di circa 30 milioni di persone iscritte a Facebook e di loro amici, la maggior parte dei quali non aveva espresso alcun consenso consapevole alla condivisione dei propri dati, per influenzare i risultati delle primarie repubblicane in favore di Cruz. Come CA era riuscita a ottenere questi dati e a poterli usare per i suoi scopi? E perché questi dati erano ancora a sua disposizione nonostante Facebook, già ammonita nel 2010 dalla Federal Trade Commission riguardo l’uso di FriendAPI e di altre pratiche fraudolente, nel 2015 avesse chiesto l’eliminazione degli stessi dai data base di CA e quest’ultima avesse rassicurato di aver adempiuto alla richiesta? Ebbene, lascio al lettore il gusto di scoprire la storia, gli intrecci, i fatti e i personaggi, ben descritti nel libro che è un reportage che si legge come un romanzo, avvincente e sconcertante al tempo stesso.

In questa sede mi interessa portare l’attenzione sulla metodologia adottata da CA per convincere gli elettori a eleggere il candidato/cliente di turno, sull’importanza e il valore dei nostri dati e sul fatto che noi siamo i primi responsabili della loro tutela e del loro corretto e consapevole uso.

Ed invero, che cosa differenziava CA dalle altre società di comunicazione? In primis, le dimensioni del suo database, che conteneva le informazioni di 240 milioni di cittadini americani e di ognuno conosceva circa 5000 dati. È bene ricordare che all’epoca negli USA non esisteva una regolamentazione specifica in materia di privacy e i cittadini acconsentivano automaticamente alla raccolta e compravendita dei propri dati senza alcun controllo da parte del Governo. CA acquistava i dati da qualsiasi venditore, ottenendo informazioni, oltre a quelle personali (nome, cognome, indirizzo e recapiti telefonici/email), relative alla situazione economica, acquisti, spese, vacanze, gusti di lettura etc. Questi dati venivano incrociati con le informazioni politiche pubblicamente accessibili (es. abitudini di voto) e poi intrecciati coi dati di Facebook, rinvenibili dai “like” messi da ciascun utente. Oltre a ciò, CA accedeva al social network per compiere operazioni di comunicazione, raggiungendo così, con una comunicazione mirata e molto precisa, le stesse persone su cui aveva raccolto e elaborato i dati. Le informazioni relative a ciascuna persona erano costantemente aggiornate e integrate ogni volta che costei accettava i cookie accedendo a un sito o dava il consenso al trattamento o ai termini di servizio di qualsiasi sito che consultava o applicazione che scaricava. Altra fonte per ampliare il database di CA erano i dati di proprietà dei clienti della stessa CA, alla quale venivano messi a disposizione per essere elaborati ai fini dell’obiettivo dell’incarico. Senza entrare nel dettaglio delle metodologie di data scientist, di psicografia e modellazione dei dati usati da CA, basti qui ricordare il metodo OCEAN, un procedimento che si basa su cinque passaggi (segmentazione, analisi predittive, uso dei profili social, applicazione del software Ripon, microtargeting) per la valutazione e la targettizzazione di ciascuna persona, al fine di potere ritagliare la perfetta comunicazione persuasiva per convincerla a fare, in sostanza, ciò che CA voleva. È noto come andarono a finire le elezioni presidenziali americane del 2016 e il referendum britannico sulla Brexit.

Tra la fine del 2016 e il 2018 la stampa iniziò a indagare in maniera sempre più insistente, facendo così scoppiare lo scandalo Datagate, che, come detto, coinvolse CA e Facebook in prima battuta, e ebbe (e ha ancora adesso?) implicazioni politiche internazionali. I fatti narrati hanno evidenziato quanto il distorto e non regolamentato uso dei dati personali non solo violi la privacy dei cittadini, ma rappresenti un serio pericolo per la democrazia.

E allora, che cosa possiamo fare concretamente per evitare o almeno limitare quanto più possibile la ripetizione di simili episodi? In una intervista per un magazine italiano, Kaiser avverte che nel mondo esiste un’industria della persuasione politica che fattura milioni di dollari, usando potentissimi strumenti informatici e psicologici per alterare le scelte dei cittadini. Prendono i dati di singoli individui, ne ricostruiscono le idee, le abitudini e le vulnerabilità attraverso i loro dati personali e li spingono a cambiare comportamento, arrivando a convincerli, mediante servizi di propaganda e disinformazione, a fare scelte contrarie ai loro interessi. Si tratta di un uso politico dei big data, della psicologia e delle scienze comportamentali. Per combattere questa situazione, oltre a sensibilizzare i governi in merito alla necessità di disciplinare in maniera rigorosa, e possibilmente il più armonica possibile tra le varie nazioni, il tema della privacy, dell’acquisizione e della necessità del consenso al trattamento, della cessione e finalità dei dati, Kaiser insiste sulla fondamentale importanza della alfabetizzazione digitale. Significa che ciascuno di noi deve sapere come vengono acquisiti i dati, dove vanno e come possono essere usati, rendendo ben chiaro il confine tra uso lecito e uso illecito, e che cosa può fare per tutelarsi. Ognuno di noi, quotidianamente, deve fare scelte etiche e consapevoli nella propria vita digitale, leggendo le privacy policy, le informative, i termini e le condizioni di uso di app e social network, facendo attenzione a non accettare indiscriminatamente i cookie di ogni sito che consulta, stando attento ai messaggi di odio, di paura, a tattiche ingannevoli di persuasione che riceve attraverso la posta elettronica o la condivisione di articoli sui social network.

Comprendere l’importanza e il valore, anche economico, dei nostri dati deve diventare una priorità, in modo da renderci consapevoli e attenti e sensibili alla loro tutela e salvaguardia contro qualsiasi uso illecito che ne può essere fatto.


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