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Non fungible tokens: unicità in un mondo di copie

Gli NFT introducono il paradigma dell’unicità nel mondo della libera riproducibilità digitale, determinando un cambio di prospettiva circa il valore della titolarità e fruibilità dell’opera creativa.

di Caterina Bo


Sulla scorta del grande successo mediatico riscosso da alcune brillanti operazioni di marketing e vendita, gli NFT, Non Fungible Tokens, sono da qualche tempo assurti agli onori della cronaca del mondo della proprietà intellettuale.

Come tante altre recenti innovazioni in tale campo, anche gli NFT si basano sulla tecnologia blockchain, sulla quale dunque è necessario premettere brevi cenni per comprendere il fenomeno.

Nei suoi tratti essenziali, la blockchain può essere descritta come un sistema di archiviazione di dati, un vero e proprio database, le cui informazioni sono accessibili da chiunque vi sia stato autorizzato.

La peculiarità di questo “archivio” è che l’autenticità dei dati non è certificata da un ente esterno, ma è data dalla concatenazione dei blocchi di informazioni, che rimandano univocamente gli uni agli altri.

Per modificare le informazioni contenute in un blocco è pertanto necessario modificare conseguentemente l’intera sequenza, il tutto in un tempo abbastanza breve perché gli altri utenti non possano verificare l’alterazione, il che viene reso ancora più difficile dall’impiego di strumenti crittografici.

Il valore attribuito a questa tecnologia risiede in tre elementi fondamentali: certezza, immediatezza e condivisione. L’utente della blockchain è cioè portato a garantire fiducia alle informazioni contenute nel database perché esse sono pressoché inalterabili, aggiornate in tempo reale e verificabili da tutti gli altri utenti.

Con gli NFT, acronimo traducibile come “gettone non fungibile”, l’utente è in grado di trasferire tali elementi di certezza, immediatezza e condivisione anche ad altri tipi di contenuti digitali, come immagini, frammenti di video, suoni. I contenuti vengono cioè “inseriti” all’interno del blocco di informazioni, acquisendone pertanto le medesime caratteristiche.

Allo stesso tempo, anche il blocco di informazioni muta parzialmente la propria natura, perché viene trasformato in qualcosa di unico, chiaramente distinguibile dagli altri blocchi dello stesso genere. Mutuando la definizione di bene infungibile deducibile dalla lettera dell’art 1378 del codice civile italiano, un NFT è perciò un blocco di informazioni che non può essere sostituito indifferentemente con altri blocchi, e da ciò deriva anche la sua inscindibilità in unità minori.

Il potenziale utilizzo nell’ambito della proprietà intellettuale è stato reso chiaro dalle iniziative di artisti e altri individui notori, che hanno iniziato a certificare la paternità delle proprie opere “incorporandole” in NFT.

Certamente, nell’ambito della produzione creativa digitale, tale strumento introduce un elemento di assoluta novità, poiché, pur in assenza di un sostrato materiale univocamente classificabile come originale, l’NFT rende ora possibile stabilire, perlomeno da un certo momento storico in avanti, la titolarità di un contenuto informatico.

È dunque possibile immaginare che, se implementata a livello di sistema, tale tecnologia possa rendere molto più agevole sia la remunerazione sia lo scambio delle opere creative digitali, senza l’intermediazione di soggetti terzi e con la possibilità di intervenire con maggiore efficacia e velocità nei riguardi dei fenomeni contraffattivi.

Non solo, date le garanzie di certezza e affidabilità insite nella blockchain, potenzialmente ogni esigenza di certezza relativa ad informazioni digitali potrebbe essere soddisfatta tramite gli NFT, che potrebbero divenire, a titolo di esempio, lo strumento di prova principe nelle verifiche del preuso di invenzioni o marchi, disciplinato dagli articoli 2571 del codice civile e dagli articoli 12 e 68 del codice della proprietà intellettuale.

Volendo lanciare una provocazione e limitando l’indagine al campo artistico, è allora da chiedersi se, proprio grazie al progresso tecnologico, si stia assistendo ad un “riavvicinamento” tra realtà digitale e analogica.

Basti pensare in questo senso all’evoluzione della stampa 3D, la cui diffusione potenzialmente potrebbe portare in poco tempo chiunque a ottenere riproduzioni perfette di famose sculture e altre opere d’arte.[1]

Il chiaro segnale che emerge da queste opposte tendenze è dunque che il reale valore delle opere creative e dell’ingegno si sta spostando dalla “materialità” e concreta fruibilità di un oggetto, tanto analogico quanto digitale, alla possibilità di rivendicarne l’appartenenza o la paternità.

Gli impatti che tale cambio di paradigma avrà sul sistema della proprietà intellettuale si potranno verificare solo nel tempo, ma già da ora è possibile anticipare che il principale scontro si verificherà soprattutto nei termini della quantificazione del valore – anche e soprattutto monetario – attribuibile a tale unicità.


[1] Di recente è salita agli onori delle cronache la riproduzione del David di Michelangelo ideata e realizzata per l’esposizione nel padiglione italiano dell’Expo di Dubai 2020.


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