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Le cinque “Ws dell’educazione alla privacy nel digitale

Chi, Dove e Perché (Who, Where and Why)

di Sonia Intonti


Lo sviluppo impetuoso delle tecnologie da una parte, e il continuo fiorire di normative e regolamenti sulla privacy dall’altra, ha determinato negli ultimi anni una evidente impennata della curva delle imprese che si sono sensibilizzate all’argomento, e quindi via via sempre più attrezzate.

Questo, da un punto di vista strettamente commerciale, è stato necessario perché tali aziende potessero continuare, o iniziare, ad operare nel mercato in modo legale. Niente più, niente meno. Sappiamo inoltre quanto il “principio di accountability” e la figura principe del “titolare del trattamento”, in stretta relazione alle sanzioni pecuniarie stellari previste in caso di violazioni della normativa, abbiano consegnato alla normativa privacy stessa la sua natura deterrente.

Tuttavia, se si sposta l’attenzione dall’organizzazione di un’impresa o di un organo pubblico all’organizzazione “naturale” e “caotica” della società in cui viviamo, ci si accorge subito come tutte le leggi sulla privacy, i regolamenti, gli standard, le linee guida, e chi più ne ha più ne metta, tutto improvvisamente cada rovinosamente nel vuoto. Ci stiamo dimenticando, ancora una volta, qual è l’obiettivo del diritto e dei diritti: essere strumento a disposizione dei più deboli per difendere la propria dignità e la propria libertà.

Oggi, più che mai, questo deve valere anche per il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali. La tecnologia con la quale conosciamo il mondo e ci facciamo conoscere dal mondo è sempre più piccola, sfuggente, ma al contempo sempre più potente e (inter)connessa. La nostra fisicità, la nostra salute, i nostri desideri, memorie, impulsi, “il nostro caos” ha invece assunto la forma del byte, del dato.

È pertanto necessario che i primi a dover acquisire la consapevolezza di come poter gestire tutto ciò siano i ragazzi che oggi sono seduti ai banchi di una scuola che, sebbene fino a qualche settimana fa fosse anch’essa entrata nella dimensione del byte, continua ad ignorare l’urgenza di inserire nel proprio piano formativo l’educazione alla privacy nel digitale.

È infatti la scuola ad aver sempre avuto l’onere e l’onore di assolvere al dovere di trascendere il mero ruolo di imbuto tra il mondo e l’aula scolastica, e farsi laboratorio in cui crescere e sbagliare in modo protetto, al fine di imparare. Ed è dunque da questo laboratorio che bisogna quindi ripartire.

Quando (When)

Per quanto riguarda l’aspetto del quando iniziare con l’educazione digitale, occorre scomodare l’antico ed usurato proverbio per cui “prevenire è meglio che curare”, e provare a dargli una sistemazione adeguata rispetto ai cambiamenti intervenuti nel tempo, anche nelle famiglie.

Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza, infatti, molti bambini ricevono in dono i loro primi smartphone già all’età di 9 – 10 anni, conoscendone tuttavia i meccanismi già da molto prima. Si tratta di smartphone alla pari, se non più evoluti, di quelli che noi adulti usiamo per lavorare, orientarci, distrarci in modo più o meno attivo, connettendoci alla Rete. È dunque proprio con questi bambini che dobbiamo cominciare a parlare del valore della loro immagine in rete, dei loro dati personali, e farlo in modo assolutamente positivo e non terroristico (alcuni suggerimenti nel paragrafo successivo sul “Come”).

Parlare ai ragazzi di 9 e 10 anni però ovviamente non può bastare, bisogna ripetere il tentativo educazionale, sviluppandolo e adattandolo, anche con i ragazzi di 13 e 14 anni, e in modo ancora più puntuale e approfondito con i ragazzi di 17 e 18 anni.

Come (How)

La difficoltà più grande arriva, puntuale, al momento in cui occorre passare dalle parole ai fatti, e trovare la via più efficace per raggiungere l’obiettivo.

Nel caso dell’educazione, o cultura della privacy nel digitale, le sfide principali sono due, e si presentano entrambe come tentazioni estreme ed opposte su cui spesso il dibattito pubblico si divide, e dalle quali invece occorre sfuggire: da una parte, la tentazione di una inutile e stupida tecnofobia, che invita a fuggire dall’innovazione, in base ad un’idea apocalittica che attribuisce alla Rete la colpa di tutti i mali del nuovo secolo e, dall’altra, quella di una rinuncia rassegnata a contrastare le distorsioni del sistema, a ricercare una qualche regolazione dei processi globali che presiedono all’economia digitale e più in generale a vivere responsabilmente il nostro tempo.

Uno dei perni principali su cui si sta muovendo questa rivoluzione tecnologica e culturale è proprio quello della trasparenza, principio che esige che la comunicazione tra attori con diverso potere contrattuale venga adeguata e misurata al contesto da cui provengono gli attori con la minore forza negoziatrice.

Bisogna dunque iniziare dal contesto e adattarvisi, riconoscere che il messaggio deve arrivare a una generazione di ragazzi, i c.d. “nativi digitali”, che più di altri possiede la capacità per accedere e sfruttare le opportunità offerte dalla società digitale, possiede un linguaggio più concreto rispetto alle generazioni passate, presenta un’impostazione spesso binaria, ed è infine totalmente disabituata alla noia.

Conoscendo questo quadro, le possibilità di coinvolgere in modo efficace i ragazzi di queste fasce di età si presentano davvero numerose.

L’intramontabile Cineforum, che più di altri si presta a momento di aggregazione culturale e sensibilizzazione degli spettatori nei confronti delle tematiche di volta in volta affrontate nei film, ne è un esempio. Sono numerosi i film che in passato hanno trattato di violazione della riservatezza e altrettanti quelli che lo stanno facendo oggi, analizzando il rapporto tra privacy e nuove tecnologie.

  • The Truman Show (1998): il capolavoro di Peter Weir racconta la storia di un bambino cresciuto sotto l’occhio attento delle telecamere e del pubblico mondiale.Osservato sin dal momento della sua nascita, la sua vita è costruita come un vero e proprio show, in un mondo fatto su misura per lui, in cui ogni evento è privo di riservatezza. Il problema? Lui non lo sa. O almeno per ora.
  • The Circle (2017): film diretto da James Ponsoldt, tratto dall’omonimo romanzo di Dave Eggers, racconta la storia della protagonista (Emma Watson) che inizia a lavorare presso un’importante società di tecnologia e mass media, The Circle.Il nuovo progetto dell’azienda prevede di lanciare una telecamera che permetta a chiunque di osservare in ogni momento la vita delle altre persone, senza limiti di privacy. Presto la ragazza si renderà conto che dietro uno strumento così potente si nascondono insidie capaci di sconvolgere la vita di chi lo utilizza.
  • The Social dilemma (2020): Il documentario di Jeff Orlowski è una potente esplorazione dell’impatto sproporzionato che un numero relativamente piccolo di ingegneri della Silicon Valley ha sul nostro modo di pensare, agire e vivere le nostre vite. Il film affronta abilmente una causa di fondo delle nostre teorie di cospirazione virali, dei problemi di salute mentale degli adolescenti, della disinformazione dilagante e della polarizzazione politica, e rende questi problemi viscerali, comprensibili e urgenti.

L’organizzazione di giochi a premi è un altro interessante e spesso efficace metodo di apprendimento: un gioco semplice ed istruttivo su cosa siano i dati personali è “Caccia al dato!”, di cui si possono scaricare gratuitamente istruzioni e tessere gioco al link: https://www.educaredigitale.it/2018/07/cosa-sono-i-dati-personali-gioco/.  Un’altra opzione creativa è “Indovina chi?” di classe, possibilmente esteso a caratteristiche fisiche e comportamentali dei compagni di classe, per divertire ed educare alla riservatezza.

L’ideale sarebbe infine poter utilizzare gli stessi cellulari e le stesse App con cui ci si disconnette dal mondo reale per connettersi a quello virtuale: prendete Instagram per esempio, e il potenziale che potrebbe essere sfruttato a questo scopo. Quanto sarebbe più divertente se fossero i ragazzi stessi a riflettere sulla propria idea di privacy e a trasmetterla tramite una story nel canale Instagram di classe?


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