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Il potenziale della tecnologia blockchain nella lotta al cambiamento climatico

di Leila Rota


Il cambiamento climatico è la conseguenza di un progressivo riscaldamento globale, generato principalmente dall’emissione nell’atmosfera terrestre di ingenti quantità di gas a effetto serra. Dal momento che rappresenta una delle maggiori sfide per l’umanità, necessita di un approccio multidisciplinare, unitamente allo sforzo e alla cooperazione delle Autorità e dei singoli.

Nonostante un pensiero ecologico, accompagnato da una forte presa di coscienza, si fosse già manifestato dalla metà del secolo scorso, ora l’emergenza è più reale che mai ed ogni Stato è determinato ad affrontarla.

L’Unione Europea è sempre stata attiva in questa lotta, attuando diverse politiche ambientali che hanno trovato la propria fonte primaria all’interno del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea[1] e del Trattato dell’Unione Europea[2], entrambi modificati dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009[3].

Da questo momento in poi, la politica ambientale è divenuta un obbiettivo centrale dell’Unione e, in particolare, l’art. 3 del TUE stabilisce che la stessa ha il compito di promuovere una crescita sostenibile, non inflazionistica e che rispetti l’ambiente e il Titolo XX del TFUE stabilisce gli obbiettivi e i valori dell’azione ambientale, i quali, ai sensi dell’art. 191, n. 2, si fondano “sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”.

Tale disposizione fa della lotta al cambiamento climatico uno scopo esplicito dell’UE e, difatti, la strategia di adattamento sinora utilizzata è stata diretta a rendere la stessa più resiliente a tale fenomeno nonché a promuovere un maggiore coordinamento e condivisione delle informazioni tra gli Stati, sia a livello europeo[4] sia a livello globale[5].

A fronte degli sforzi perpetrati e dei risultati raggiunti, l’Unione ha svolto un ruolo determinante nell’adozione dell’Accordo di Parigi, quale primo accordo universale giuridicamente vincolante sul clima, adottato nel dicembre del 2015 in occasione della 21a conferenza delle parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC)[6] ed entrato in vigore il 4 novembre 2016, in seguito alla ratifica di 55 paesi rappresentanti il 55% delle emissioni globali dei gas a effetto serra.

Il contenuto è stato negoziato dai rappresentanti dei 197 paesi presenti alla conferenza e, ad oggi, ne fanno parte 189[7].

L’Accordo delinea, all’art. 2, un quadro globale volto a contrastare i cambiamenti climatici e sancisce la necessità di un impegno condiviso per mantenere l’innalzamento della temperatura media globale “ben al di sotto” dei 2°C, cercando simultaneamente di contenerla entro 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, al fine di limitarne gli effetti e i rischi.

Infatti, la comunità scientifica ha dimostrato che un innalzamento oltre tale limite comporterebbe un punto di non ritorno, una situazione irreversibile accompagnata da conseguenze devastanti[8].

Il suddetto articolo prevede, inoltre, di aumentare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, promuovendo la resilienza e lo sviluppo a basse emissioni di gas serra e, da ultimo, impegna le Parti a rendere i flussi finanziari idonei a contribuire a una crescita sostenibile.

Al fine di raggiungere tali traguardi, ai sensi dell’art. 4, le Parti devono fissare e comunicare ogni cinque anni i c.d. Nationally Determined Contributions (NDCs) che intendono conseguire, ossia i propri obbiettivi per gli sforzi in materia di clima.

Inoltre, l’art. 6 stabilisce che gli Stati possano cooperare volontariamente trasferendo a livello internazionale i propri risultati di mitigation, cioè di riduzione delle emissioni, per contribuire al raggiungimento dei NDCs: tale meccanismo concorre a promuovere e mantenere uno sviluppo sostenibile, assicurando l’integrità ambientale e la trasparenza.

Parimenti, nell’ottica di progredire verso un’economica climaticamente neutra e per rispettare gli obblighi assunti con l’Accordo di Parigi, il Consiglio Europeo, nell’ottobre 2014, ha convenuto il Quadro 2030 per il clima e l’energia[9], il quale fa seguito e aggiorna gli obbiettivi del Pacchetto per il clima e l’energia 2020[10], volti a garantire il raggiungimento del taglio del 20% delle emissioni di gas a effetto serra, il ricavo del fabbisogno energetico del 20% da fonti rinnovabili e il miglioramento del 20% dell’efficienza energetica.

All’interno di tale panorama, lo strumento principe adottato dall’UE per promuovere la riduzione delle emissioni è rappresentato dal sistema di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (ETS), introdotto con la Direttiva Emission Trading[11], nonché il primo e più grande mercato internazionale del carbonio.

All’interno della lotta al climate change, la blockchain ha recentemente suscitato interesse per il suo carattere decentralizzato e trust-building[12].

Nel 2017, il Segretariato dell’UNFCCC ha riconosciuto il potenziale di questa tecnologia e, in particolare, sono state identificate quattro possibili aree di interesse: nello scambio di emissioni di carbonio, nel trading di energia pulita, nel finanziamento del clima e nel monitoraggio delle emissioni di gas a effetto serra (GHG)[13].

Il sistema di scambio europeo (ETS UE) si basa sul principio di c.d. “limitazione e scambio”, ossia viene fissato un tetto massimo sulla quantità totale di emissioni di gas serra che possono essere prodotte da un certo numero di impianti inclusi nel sistema, il quale viene ridotto nel tempo al fine di diminuire anche le emissioni totali.

Entro questo limite, ogni Stato può ricevere o acquistare delle quote di emissione, le quali rappresentano la “valuta” dell’ETS e ciascuna di esse consente al titolare di emettere una tonnellata di CO2 o la quantità equivalente di altri gas nocivi; tali quote possono essere scambiate tramite aste.

Al termine di ogni anno, le società devono comunque restituire un numero di quote sufficiente a ricoprire le loro emissioni, altrimenti incorrono in gravi sanzioni a tal fine, possono acquistare quote aggiuntive o attingere da quelle risparmiate l’anno precedente[14].

Ugualmente, l’art. 6 dell’Accordo di Parigi, prevede che una Parte che si sia prefissata il raggiungimento di determinati NDCs entro un periodo definito, ma non sia riuscita a ridurre tutte le emissioni attraverso le azioni di mitigation sul territorio nazionale, possa acquistare la differenza da un’altra Parte che invece sia riuscita a contenerle sotto la soglia prevista.

Tali “crediti di carbonio” prendono il nome di Internationally Transferred Mitigation Outcomes (ITMO), i quali, una volta acquistati, verranno sottratti dal paese acquirente dal bilancio delle proprie emissioni totali che dovranno essere poi dichiarate[15].

Nel primo caso, la blockchain potrebbe essere utilizzata per allagare gli obblighi dell’ETS anche a piccole realtà, le quali per il momento rimangono escluse a causa degli alti costi di amministrazione. Infatti, tale tecnologia sarebbe in grado di automatizzare i processi di monitoraggio nonché di facilitare le procedure di scambio su reti decentralizzate peer to peer; ciò contribuirebbe anche a creare una maggiore consapevolezza dei costi di internalizzazione delle emissioni di GHG.

Inoltre, le funzioni degli smart contracts nel mercato ETS potrebbero costituire un’importante risorsa negli accordi tra giurisdizioni differenti, contribuendo a migliorare la trasparenza e la prevedibilità del mercato stesso[16].

Un’altra possibile applicazione della blockchain troverebbe posto nel sistema delle aste ove vengono vendute le quote, poiché potrebbe fornire maggiore chiarezza alle operazioni di vendita, le quali sarebbero registrate in modo che siano pubblicamente verificabili e virtualmente immutabili, a differenza del sistema centralizzato e chiuso odierno che non consente ai partecipanti di assicurare l’origine, l’autenticità e la legittimità dell’offerta più alta.

Inoltre, tramite l’applicazione della tecnologia, si potrebbe risolvere il problema del c.d. double counting, ossia il rischio che le emissioni vengano conteggiate e contabilizzate due volte, una dal paese che vende e l’altra dal paese che acquista[17].

Tale problema investe soprattutto gli scambi degli ITMO, ai sensi dell’art. 6.2 dell’Accordo di Parigi.

Difatti, la blockchain potrebbe fornire un livello più elevato di fiducia e sicurezza rispetto ai registri convenzionali, potenziando diversi sistemi di tracciamento: un registro gestito congiuntamente da paesi che perseguono una cooperazione volontaria garantirebbe che ogni risultato generato, emesso e trasferito a livello internazionale sia codificato nella blockchain e condiviso con i registri nazionali.

Gli ITMO rappresenterebbero l’asset digitale comune scambiato nel sistema e verrebbero rappresentati come token: in tal modo, sarebbe possibile risalire all’origine di ciascuno di essi, garantendo che un’unità di riduzione delle emissioni prodotta sia uguale alla riduzione delle emissioni effettive.

Pertanto, se le Parti si impegnassero a fornire le informazioni relative alle emissioni prodotte, mediante il registro distribuito della blockchain, sarebbe possibile condividere a livello globale i dati in esso registrati, aumentando così la trasparenza della documentazione e la possibilità di verificarne la veridicità[18].

Questo meccanismo soddisfarebbe, altresì, i requisiti richiesti dall’art. 13 dell’Accordo di Parigi in merito ad un quadro di trasparenza, dotato di una flessibilità tale da adattarsi alle diverse capacità delle Parti, al fine di costruire fiducia reciproca per promuovere un’azione efficace.

Un’ulteriore ipotesi di implementazione della blockchain è rappresentata dalla possibilità di sviluppare piattaforme peer-to-peer per il commercio di energia rinnovabile.

I consumatori sarebbero in grado di acquistare, vendere o scambiare energia rinnovabile tra loro, utilizzando token o risorse digitali negoziabili che rappresenterebbero una certa quantità di energia prodotta.

In questa ipotesi, i registri blockchain possono essere utilizzati per gestire la condivisione decentralizzata di energia, lo stoccaggio della batteria, le tariffe di riacquisto e altri incentivi finanziari [19].

Diverse start-up stanno sviluppando soluzioni e applicazioni incentrate sull’energia rinnovabile, idonee a ridurre le emissioni di carbonio e a sviluppare reti intelligenti che ottimizzeranno il consumo energetico[20].

A titolo esemplificativo, Power Ledger ha sviluppato una piattaforma che permette di scambiare energia rinnovabile, come quella generata tramite pannelli solari, garantendo l’allocazione sicura e trasparente del valore dalle risorse energetiche distribuite.

In concreto, se una persona produce più energia di quella che consuma, può vendere la parte in eccesso ad altri consumatori all’interno di una minirete; il sistema basato su blockchain permette di monitorare la generazione e il consumo di energia quasi in tempo reale, permettendo ai venditori di ottenere un pagamento sicuro nello stesso momento in cui l’energia che producono viene consumata[21].

Tale meccanismo opera attraverso un doppio sistema di monetizzazione: i POWR sono token che permettono l’accesso alla piattaforma da parte di compagnie o piccoli produttori di energia, mentre gli Sparkz sono token necessari per l’acquisto dell’energia stessa.

Veniamo ora alle maggiori sfide di implementazione che potrebbero presentarsi nell’applicazione della tecnologia blockchain nei suddetti ambiti.

In primis, la blockchain è stata criticata per il suo elevato consumo di energia: tuttavia, nuove versioni sono in fase di sviluppo nel tentativo di ridurre il consumo di elettricità da parte delle DLT pubbliche e una valida alternativa è rappresentata dal protocollo Proof of Stake, il quale richiede meno dell’1% del consumo del noto Proof of Work[22].

Inoltre, un aspetto problematico è determinato dalla assenza di norme ad hoc e condivise sull’applicazione della tecnologia e degli smart contracts: si ipotizza che con un suo maggiore utilizzo potrebbero aumentare le controversie relative alla validità, all’esecutività, alla competenza nonché alla responsabilità dell’intermediario e ciò, a lungo termine, potrebbe danneggiare il valore e i vantaggi apportati dalla stessa.

Inoltre, soprattutto per quanto riguarda l’applicazione nel campo del mercato ETS e ITMO, è necessario che i governi supportino la creazione e la distribuzione di oracoli[23] e che comunichino i dati climatici rilevanti, necessari alla corretta esecuzione degli smart contracts[24].

L’architettura della blockchain potrebbe essere in contrasto con le norme sulla Privacy dei paesi che richiedono la localizzazione dei dati personali dei propri cittadini o che, come nel caso del GDPR, prevedono l’esercizio di diritti come quello all’oblio, ex art. 17, che non potrebbero essere azionati a causa della immutabilità della tecnologia stessa[25].

Una soluzione potrebbe essere quella di adottare delle blockchain private, tuttavia tale sistema non si adatterebbe a tutti gli scopi, come ad esempio quello delineato all’art. 6.2 dell’accordo di Parigi, il quale necessita di un registro pubblico per garantire la trasparenza richiesta[26].

Diversamente, nel settore dell’energia, una delle maggiori sfide è la tokenizzazione degli asset fisici perché il mondo reale non si comporta in modo prevedibile come la sua controparte digitale, quindi è necessario che i trasferimenti sulla catena rimangano collegati in modo affidabile ai movimenti di elettricità tra i soggetti che utilizzano le suddette piattaforme[27].

In conclusione, il potenziale delle applicazioni di blockchain nelle politiche ambientali è promettente, anche se non privo di svantaggi e di ostacoli; in ogni caso, come nella lotta climatica, è necessaria la cooperazione internazionale per garantire che lo sviluppo delle tecnologie digitali rifletta gli sforzi verso uno sviluppo sostenibile.


[1] Cfr. Trattato Sul Funzionamento Dell’unione Europea (versione consolidata 2016), pubblicato in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, GU C 202 del 7.6.2016.

[2] Cfr. Trattato sull’Unione Europea (versione consolidata 2016), pubblicato in Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, GU C 202 del 7.6.2016.

[3] Cfr. Trattato di Lisbona, pubblicato in Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, GU C 306 del 17.12.2007 e ratificato in Italia con L. 2 agosto 2008, n. 130, pubblicata in G.U. Serie Generale n.185 del 08-08-2008 – Suppl. Ordinario n. 188.

[4] Cfr. art. 4, lett. E, del TFUE, il quale stabilisce che la competenza concorrente dell’UE con gli Stati membri nel settore dell’ambiente.

[5] Cfr. Parlamento Europeo, Lotta contro il cambiamento climatico, in Internet all’indirizzo web https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/72/lotta-contro-il-cambiamento-climatico, visitato novembre 2020.

[6] Cfr. United Nations Climate Change, The Paris Agreement, in Internet all’indirizzo web https://unfccc.int/process-and-meetings/the-paris-agreement/the-paris-agreement. In seguito, L’UE ha formalmente ratificato l’accordo il 5 ottobre 2016, consentendo in tal modo la sua entrata in vigore il 4 novembre 2016, mentre l’Italia lo ha ratificato con Legge n. 204 del 4 novembre 20167, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 263 del 10 novembre 2016.

[7] Cfr. United Nations Climate Change, Paris Agreement – Status of Ratification, in Internet all’indirizzo web https://unfccc.int/process/the-paris-agreement/status-of-ratification, consutato in data 23 novembre 2020.

[8] Cfr. IPCC, Special Report – Global Warming Of 1.5 °C, in Internet all’indirizzo web https://www.ipcc.ch/sr15/, consultato in data 3 novembre 2020.

[9] Cfr. European Commission, 2030 climate & energy framework, in Internet all’indirizzo web https://ec.europa.eu/clima/policies/strategies/2030_en.

[10] Cfr. European Commission, 2020 climate & energy package, in Internet all’indirizzo web https://ec.europa.eu/clima/policies/strategies/2020_en, visitato in data 3 novembre 2020.

[11] Cfr. DIRETTIVA 2003/87/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 13 ottobre 2003 che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio, in G.U. L 275 del 25.10.2003, modificata da ultimo dalla dalla direttiva UE 218/410.

[12] Cfr. S. Braden, Blockchain Potentials and Limitations for Selected Climate Policy Instruments, Deutsche Gesellschaft fur Internationale Zusammenarbeit (GIZ), Bonn (2019).

[13] Cfr. United Nations Climate Change, How Blockchain Technology Could Boost Climate Action, 1 giugno 2017, in Internet all’indirizzo web https://unfccc.int/news/how-blockchain-technology-could-boost-climateaction#:~:text=Enhanced%20climate%20finance%20flows%3A,projects%20in%20a%20transparent%20way, visitato in data 10 novembre 2020.

[14] Cfr. European Commission, EU Emissions Trading System (EU ETS), in Internet all’indirizzo web https://ec.europa.eu/clima/policies/ets_en, consultato in data 3 novembre 2020.

[15] Cfr. L. Franke, M. Schletz, S. Salomo, Designing a Blockchain Model for the Paris Agreement’s Carbon Market Mechanism, in Sustainability, Vol. 12, Issue 3, 2020.

[16] Cfr. 12

[17] Cfr. 12

[18] Cfr. 15

[19] Cfr. D. Chen, Utility of the Blockchain for Climate Mitigation, in The Journal of The British Blockchain Association, Volume 1, Issue, July 2018.

[20] Alcuni esempi sono il progetto di LO3 Energy chiamato Brooklyn Microgrid, la piattaforma di Power Ledger e TenneT.

[21] Cfr. J. Thomason et al., Blockchain—powering and empowering the poor in developing countries, in Transforming climate finance and green investment with blockchains, Academic Press, 2018. p. 137-152.

[22] Cfr. 12, 19 e P. Howson, Tackling climate change with blockchain, in Nature Climate Change, 9.9, 2019.

[23] Gli oracoli blockchain sono servizi di terze parti che forniscono informazioni esterne agli smart contracts: fungono da ponti tra le blockchain e il mondo esterno.

[24] Cfr. T. Aganaba-Jeanty, S. Anissimov  & O. E. Fitzgerald, Blockchain ClimateCup Round Table, Conference Report, Toronto, Canada, June 2017.

[25] Cfr. T. Lyons, L. Courcelas, K. Timsit, Blockchain and the GDPR, su EUBlockchain Observatory & Forum, in Internet all’indirizzo web https://www.eublockchainforum.eu/sites/default/files/reports/20181016_report_gdpr.pdf, 2018.

[26] Cfr. 15

[27] Cfr. 24


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