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Le testate giornalistiche online: tra approdi giurisprudenziali e tutele costituzionali

di Paolo Palmieri

Che il mondo dell’informazione non sia più lo stesso è un dato di fatto. La carta stampata sta cedendo il passo sempre più velocemente alle testate digitali, e l’informazione non transita più per i soliti canali, ma utilizza mezzi diversi, tra cui soprattutto la rete internet. Occorre chiedersi, dunque, se la testata giornalistica online sia equiparabile al giornale cartaceo; se nei suoi confronti sia ammissibile il sequestro ex art. 321 c.p.p. o se valgono le stesse tutele costituzionali della stampa; ed infine, se il direttore della testata online risponda della medesima culpa in vigilando del direttore del giornale cartaceo. Con questo elaborato cerchiamo di fare il punto su tali tematiche, alla luce dei più recenti approdi giurisprudenziali.

Il substrato normativo

Com’è noto, l’art. 21, c. 3, Cost. sancisce il principio che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure e che «si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili».

L’art. 1 della l. 8 febbraio 1948 n. 47, intitolata “Disposizioni sulla stampa” e ritenuta integrante il disposto dell’art. 21 Cost., precisa che sono da considerarsi stampe o stampati «tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione».

A sua volta, il r.d.lgs. del 31 maggio 1946, n. 562, recante «Norme sul sequestro dei giornali e delle altre pubblicazioni”, all’art. 1 stabilisce che «non si può procedere al sequestro della edizione dei giornali o di qualsiasi altra pubblicazione o stampato […] se non in virtù di una sentenza irrevocabile dell’autorità giudiziaria».

La Costituzione disciplina l’istituto del sequestro in stretta correlazione col divieto di autorizzazione o censura, preventiva o successiva, sottoponendolo alla duplice garanzia della riserva di legge e di giurisdizione.

In materia di responsabilità del direttore del periodico, l’art. 57 c.p. afferma, poi, che «[…] il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo dalla pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa […]».

Testate online: stampa, o non stampa?

L’orientamento superato di Cass. n. 10594/2014

La rapida e costante evoluzione dei mezzi con i quali si diffondono le informazioni, ha rivoluzionato i mass media ed il loro rapporto con le persone e la società, tant’è che oggi i mass media vengono percepiti come la realtà stessa, più che una forma di rappresentazione della realtà. Alla categoria dei mezzi di comunicazione di massa, non vi è dubbio alcuno che vi appartenga anche internet, il quale dà sicuramente concreta attuazione al diritto sancito dall’art. 21 Cost., nel duplice senso di esprimere liberamente il proprio pensiero, diffonderlo e assicurare la pluralità delle fonti informative.

Ma si deve partire da un presupposto: il mondo dell’informazione online è enormemente variegato, e ricomprende non solo le testate giornalistiche online, ma anche blog, social network, newsgroup e molto altro.

Anzitutto, pare utile ricordare che giurisprudenza consolidata ha generalmente escluso l’estensione dell’obbligo di registrazione per il giornale online e, conseguentemente, l’applicabilità ad internet del regime penalistico previsto dalla legge sulla stampa (l. 47/1948) o dalla legge sul sistema radiotelevisivo (l. 223/1990), aderendo agli insegnamenti della dottrina secondo la quale la nozione di stampa non può estendersi fino a ricomprendervi la stampa telematica. Vi osterebbe, difatti, l’art. 1, l. 47/1948, il quale richiede una riproduzione con mezzi meccanici, ai quali il messaggio diffuso per via telematica non può essere assimilato[1].

A riassumere ed esemplificare tale orientamento è stata la sentenza Cass., Sez. V, n. 10594, 5 novembre 2013 (dep. 5 marzo 2014), Pres. Oldi, Rel. Fumo, Ric. Montanari e altri, con la quale la Suprema Corte è stata chiamata a verificare la legittimità del sequestro preventivo di un articolo comparso sulla versione online del quotidiano a tiratura nazionale, “Il Fatto Quotidiano”. Va detto che il “pezzo” era identico a quello pubblicato sull’edizione cartacea del medesimo periodico, e coinvolgeva l’ex Direttore Responsabile Antonio Padellaro per culpa in vigilando ex art. 57 c.p. in relazione al reato di diffamazione a mezzo stampa.

In sintesi, la Corte affronta il tema della sequestrabilità o meno delle pagine web, giungendo alla conclusione che «Non trova pertanto applicazione per blog, mailing list, chat, newsletter, e-mail, newsgroup, ecc. la tutela costituzionale di cui al terzo comma dell’art. 21 della Carta fondamentale. I predetti “siti” conseguentemente sono sequestrabili. L’assunto rappresenta una rilevante conferma della non assimilabilità del mondo telematico a quello della carta stampata (e contribuisce, non poco, a una lettura “ortopedica” della legge 7.3.2001 n. 62)».

E questo, giova dirlo, anche per la mera riproduzione online di articoli già precedentemente pubblicati sulla testata cartacea, perché la «telematica non è stampa», avendo il legislatore voluto usare questo termine in senso tecnico e non per indicare l’informazione in generale. Senza considerare che l’assimilazione tra stampa e telematica potrebbe essere considerata analogia in malam partem, in quanto tale, vietata nel nostro ordinamento penale.

Insomma, per la Cassazione del 2014, «un articolo giornalistico pubblicato sul web non gode della stessa tutela riservata al mezzo tradizionale e può essere sottoposto a sequestro».

Il rischio di creare una disparità di trattamento tra informazione cartacea e online, viene giustificato   sul diverso impatto che hanno i due media sui lettori: quello più moderno ce l’ha maggiore e di più lunga durata, tanto da spingere il Collegio a parlare di una «eternità mediatica» tale da consentire il sequestro con minori titubanze.

Il ragionamento della Corte però, con la sentenza n. 10594/2014, lasciava già allora molte perplessità, vuoi perché troppo legato al dato letterale della norma, vuoi per la vetustità del concetto di stampa.

Il nuovo indirizzo inaugurato con SS.UU. n. 31022/2015

L’anno successivo è, però, il massimo consesso nomofilattico a definire il nuovo orientamento in materia, partendo sempre dall’ammissibilità del sequestro preventivo mediante oscuramento di siti internet (che, in virtù della particolarità del mezzo, impongono sempre un facere, oltre al classico impossessamento del sequestro).

La sentenza n. 31022 del 2015, Presidente Santacroce, Relatore Milo, coinvolge il noto giornalista Alessandro Sallusti, allora Direttore de “Il Giornale”.

Per le Sezioni Unite, non si può negare che il sequestro preventivo di risorse telematiche o informatiche diffuse sul web implichi un intervento sul prestatore di servizio (Internet Service Provider), affinché impedisca l’accesso al sito o alla singola pagina, ovvero disponga il blocco o la cancellazione del file incriminato; e tanto comporta inevitabilmente l’inibitoria di una determinata attività. Tenuto anche conto che la l. 18 marzo 2008, n. 48, di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa, sottoscritta a Budapest il 23 novembre 2001, sulla criminalità informatica (c.d.: cybercrime) ha equiparato il dato informatico al concetto di “cosa”; il quale, dunque, se pertinente al reato, può ben essere oggetto di sequestro.

Ciò anche grazie al d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, che, in attuazione della Direttiva n. 2000/31/CE, ha regolamentato taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico, che integra, con riferimento alla specifica materia disciplinata, il contenuto dell’art. 321 c.p.p. e consente di superare qualunque riserva circa la possibilità di sottoporre a sequestro preventivo dati informatici che circolano in rete in forma dematerializzata.

Superato questo scoglio procedurale, le SS.UU. affrontano la disciplina della responsabilità penale che grava sul direttore della testata giornalistica dell’articolo incriminato, il quale risponde per fatto proprio a titolo di culpa in vigilando(art. 57 c.p. come sostituito dall’art. 1 della l. 4 marzo 1958 n. 127), escludendosi qualsiasi forma di responsabilità di tipo oggettivo.

Le SS.UU. ritengono superato il precedente orientamento di Cass. Sez. 5, n. 10594 del 5.11.2013, dep. 2014, Montanari, e propugnato da voci autorevoli della dottrina, di esclusione delle garanzie costituzionali alle manifestazioni del pensiero destinate ad essere trasmesse in via telematica, ivi comprese quelle oggetto di articoli giornalistici pubblicati sul web. Danno invece alla “stampa” una interpretazione estensivo-evolutiva, «[…] coerente con il processo tecnologico […] e non estranea all’ordinamento positivo».

A ben vedere, quella delle SS.UU. è una vera è propria interpretazione costituzionalmente orientata, perché si sganciano dal dato meramente letterale (in quanto tale, per definizione non facilmente mutabile: la legge di riferimento è del 1948, e dunque strettamente legata alle tecnologie dell’epoca); ma legano il concetto di “stampa” all’informazione professionale, che può essere espressa non solo attraverso lo scritto, ma anche attraverso la parola unita all’immagine (telegiornale) o internet: tali forme espressive non possono essere sottratte alle garanzie previste per la stampa.

Ovviamente all’interno di questa nozione più ampia di stampa, non vanno ricomprese le forme di informazione non professionale, come i forum, i blog, i social network, le newsletter e i newsgroup, certamente protette ai sensi dell’art. 21, comma 1, Cost., ma senza gli oneri e gli onori della stampa.

A dire delle Sezioni Unite, «[…] il giornale telematico, sia se riproduzione di quello cartaceo, sia se unica e autonoma fonte di informazione professionale, soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea. È, infatti, un prodotto editoriale, con una propria testata identificativa, diffuso con regolarità in rete; ha la finalità di raccogliere, commentare e criticare notizie di attualità dirette al pubblico; ha un direttore responsabile, iscritto all’Albo dei giornalisti; è registrato presso il Tribunale del luogo in cui ha sede la redazione; ha un hostig provider, che funge da stampatore, e un editore registrato presso il ROC».

Tale orientamento giurisprudenziale non sembra incontrare attrito da parte delle corti di merito, come confermano diverse pronunce sul punto. Ad esempio, con la sentenza n. 21521 del 15 maggio 2018, Pres. Lapalorcia, la Corte di Cassazione ha confermato il sequestro preventivo di alcune pagine Facebook a mezzo delle quali gli imputati avrebbero pubblicato messaggi e video ritenuti lesivi del decoro e della reputazione delle persone offese. E ciò alla luce della legittimità del sequestro di un sito o di una pagina web al ricorrere dei presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora, e della differenza tra le varie forme di comunicazione telematica e la stampa (anche online).

Si badi bene, però, che le SS.UU. circoscrivono le garanzie e le responsabilità previste per la stampa (ivi inclusa la responsabilità del direttore per culpa in vigilando) ai sono contenuti redazionali e non anche ad eventuali commenti inseriti dagli utenti, perché soggetti estranei alla redazione.

La responsabilità per culpa in vigilando del direttore responsabile

Allo stato, dunque, le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di “stampa” di cui all’art. 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47.

Ma non tutte le modalità di propagazione delle informazioni in rete rientrano della nozione di stampa, se non hanno il requisito della professionalità dello svolgimento. Insomma, le pagine Facebook informative, i forum ed i blog non godono degli obblighi e delle tutele previste per la stampa.

Sulla base di tale assunto, Cass. Pen., Sez. V, n. 16751 del 2018, ha annullato una sentenza della Corte d’Appello di Milano che aveva condannato, ai sensi dell’art. 57 c.p., l’amministratrice di un sito web non professionale e non giornalistico per diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità della rete internet.

Per la Corte, infatti, non si può assimilare «[…] l’amministratore di un sito internet ad alcuna delle specifiche figure di soggetti responsabili dei reati commessi col mezzo della stampa (art. 57 c.p.), quali il direttore o vice-direttore responsabile», e dunque, «il reato di diffamazione può essere ascritto all’amministratore del sito in base alla previsione secondo le regole comuni o perché autore della stessa o quale concorrente dell’autore materiale». In altre parole, se l’amministratrice del sito non ha utilizzato alcuna affermazione ingiuriosa o non ha concorso con gli autori materiali, non può essere incolpata per culpa in vigilando, in quanto non equiparabile alla figura del direttore responsabile di una testata giornalistica online.

Sempre in tema di responsabilità del direttore di una testata online, si segnala Cass. Pen., Sez. V, n.13398 del 2018. La sentenza riprende il recente insegnamento delle SS.UU., a mente del quale alla testata giornalistica telematica si estendono non solo le garanzie costituzionali a tutela della stampa e della libera manifestazione del pensiero, ma anche le disposizioni volte ad impedire che con il mezzo della stampa si commettano reati, tra le quali rientra l’art. 57, c.p., che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, estende la sua portata anche ai casi di pubblicazione di un articolo non firmato, da ritenersi, in assenza di diversa allegazione, di produzione redazionale,  e dunque riconducibile al direttore responsabile.

Nel caso di specie, il giudice di prime cure aveva condannato ex artt. 57 e 595 c.p. il direttore della testata online “Prime Pagine Molise.it”, per aver redatto e pubblicato un articolo ritenuto diffamatorio; la Corte d’Appello di Campobasso, di converso, aveva assolto l’imputato perché il fatto non era previsto dalla legge come reato.

La vicenda giunge innanzi alla Corte di Cassazione, che annulla la sentenza perché, come anche sostenuto incidenter tantum dalle Sezioni Unite n. 31022/2015, la responsabilità per culpa in vigilando ex art. 57 c.p. del direttore della testata online può essere esclusa solo in relazione ai commenti esterni dei lettori, come ad esempio nei forum o a laeteredi un pezzo; ma non quando, invece, l’articolo diffamatorio costituisce un contenuto redazionale. E un pezzo non firmato, si presume della redazione giornalistica.

Questo perché «[…] tale modalità di inserimento nel corpo della testata lascia presumere, infatti, la possibilità da parte del direttore responsabile di operare un controllo preventivo sul contenuto del giornale, che, altrimenti, ove non operasse alcun filtro, sarebbe esposto alla indiscriminata pubblicazione di ogni sorta di articolo diffamatorio».

Per concludere

Detto questo, occorre certamente valutare caso per caso la qualifica del contenuto pubblicato sulla testata online: un articolo pubblicato con la forma ed i crismi di un articolo della testata, anche non firmato ed anche se proveniente dal lettore, obbliga il direttore della testata online ad operare un controllo preventivo prima della sua pubblicazione, e ad assumersi la responsabilità penale nel caso in cui contenga espressioni offensive. Diverso discorso va fatto per i commenti ed i post inviati e postati dai lettori, per i quali sarebbe difficoltoso un approfondito controllo preventivo da parte della direzione (così nella sentenza Cass., Sez. V, 28 ottobre 2011, Humaui) e per i quali non si potrebbe contestare al direttore una responsabilità ex art. 57 c.p. per omesso controllo successivo, ove la norma punisce solo l’omesso controllo preventivo. In tali casi, il direttore della testata online potrebbe rispondere solo a titolo di concorso nel reato, sussistendone i requisiti ex lege.


[1]PERON S., Le testate telematiche e la tutela costituzionale, 23 marzo 2018, su www.medialaws.eu.


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