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Nomi a dominio: il quadro normativo italiano

di Ben R. Carrascal


La rivoluzione digitale, che ha caratterizzato il finire del secolo scorso e che tuttora non smette di sorprenderci con nuove scoperte tecnologiche, ha portato alla nascita di nuovi beni c.d. “informatici”, cui il diritto ha dovuto necessariamente tenere in debito conto e quindi regolamentare. Oltre ai programmi per elaboratore e alle banche di dati, tutelati entrambi dalla disciplina del diritto d’autore, vi si annovera all’interno della categoria dei beni informatici ma sotto una disciplina di tutela diversa anche il domain name o nome a dominio.

All’interno del World Wide Web, ogni computer collegato alla rete internet, ivi compreso quello su cui risiede il contenuto di un sito web (host), è dotato e identificato da una stringa numerica, comunemente chiamata indirizzo IP (Internet Protocol). Per l’utente navigatore, tuttavia, la memorizzazione di una sequenza numerica quale l’indirizzo IP, risulta piuttosto complicata. È per questo motivo che, sin dagli anni ’80, all’utilizzo delle stringhe numeriche si è sostituito l’attuale sistema dei nomi a dominio o Domain Name System (DNS), tuttora in funzione. Questo sistema, attraverso degli appositi server online, assegna ad ogni indirizzo IP (identificativo di un determinato host) una stringa alfanumerica, nome o parola: il domain name. In questo modo, una volta che l’utente navigatore inserisce sul proprio browser una determinata parola, quest’ultima viene istantaneamente trasformata nella corrispondente sequenza numerica, consentendo un collegamento pressoché immediato con il relativo sito web.

L’assegnazione dei nomi a dominio si fonda su di un criterio di tempestività (c.d. “first come first served”), secondo il quale chi per primo registra una determinata sequenza alfanumerica o domain name, ne diviene il proprietario. All’assegnazione provvedono specifiche Registration Authorities, organizzazioni a ciò delegate dall’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) in qualità di ente centrale di controllo sul sistema dei nomi a dominio, con sede negli Stati Uniti D’America. In Italia, l’ente delegato a questo compito è il NIC (Registro.it), istituito presso il CNR.

La rilevanza giuridica dei nomi a dominio è sorta in seguito al verificarsi di numerose manifestazioni di accaparramento di questi ultimi, soprattutto di quelli più semplici o corrispondenti a marchi celebri o personaggi famosi, al fine di rivenderli ad un prezzo molto più elevato di quello della loro registrazione (c.d. cybersquatting). Fenomeno questo, che insieme al c.d. domain grabbing (registrazione di un nome a dominio corrispondente al segno distintivo di un’impresa con cui si è in concorrenza), hanno generato non poco contenzioso dinnanzi all’autorità giudiziaria, e dunque spinto il legislatore a dare, finalmente, una qualificazione giuridica al nome a dominio.

A livello nazionale, il nome a dominio è soggetto a due diverse discipline di tutela, la cui alternativa applicazione dipende tanto da un suo eventuale utilizzo commerciale (collegato all’attività d’impresa), quanto dal fatto che questi riguardi o meno il nome di persona. Invero, il nome a dominio è tutelato sia dalla disciplina sul diritto al nome agli artt. 6, 7, 8 e 9 c.c., laddove l’art. 9 si riferisce allo pseudonimo quando abbia acquisito l’importanza del nome, sia dalla disciplina dei marchi e dei segni distintivi, prevista dagli artt. 2569 e ss. c.c. e dal Codice della proprietà industriale (D.Lgs. n° 30/2005), laddove il suo utilizzo commerciale sia collegato ad attività d’impresa.

Qualora il nome a dominio si riferisca al nome di persona, il codice civile stabilisce che la persona la quale contesti l’uso indebito del proprio nome, ovvero ne possa risentire pregiudizio, può chiedere, oltre alla cessazione del fatto lesivo anche il risarcimento dei danni (art. 7).

Laddove il nome a domino sia connesso invece ad attività d’impresa (nome a dominio aziendale), quest’ultimo gode senz’altro una propria valenza distintiva e pubblicistica, ed è perciò soggetto a diversa disciplina. Il Codice della proprietà industriale riconosce espressamente al nome a dominio la natura di segno distintivo dell’impresa, in questo modo equiparandolo al marchio, alla ditta e all’insegna.

L’art. 12 c.p.i., anzitutto, prevede che non possano costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni che, alla data del deposito della domanda, siano identici o simili a un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio usato nell’attività economica, o altro segno distintivo adottato da altri, se a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra l’attività d’impresa da questi esercitata ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.

L’art. 22 c.p.i., rubricato “Unitarietà dei segni distintivi”, sancisce il divieto di adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo, un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività d’impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. L’art. 22, al 2° comma, estende questo divieto anche all’adozione come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo, di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza, se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.

In questo modo, nell’ambito di attività d’impresa non può essere registrato un nome a dominio corrispondente ad un marchio o segno distintivo già registrato qualora a causa dell’identità o affinità tra l’attività d’impresa dei titolari, ovvero dei prodotti o dei servizi offerti, possa derivarne pericolo di confusione per il pubblico. Per quanto ai marchi rinomati, invece, tale divieto include anche i prodotti o servizi non affini qualora l’uso del nome a dominio, in qualità di segno distintivo, possa procurare un indebito vantaggio al terzo utilizzatore ovvero rechi pregiudizio al legittimo titolare.

Il nome a domino vanta la medesima tutela degli altri segni distintivi. Invero, il titolare di un segno distintivo che veda quest’ultimo registrato quale nome a dominio in capo ad un terzo, può ricorrere (ove di questo se ne faccia un uso commerciale) all’azione di rivendica prevista dall’art. 118 c.p.i., sempreché la registrazione sia stata concessa in violazione dell’art. 22 o richiesta in mala fede. Il titolare, in virtù dell’art. 118, può ottenere sia la revoca della titolarità del nome a dominio, sia il suo trasferimento.

L’art. 133 c.p.i., prevede che l’Autorità giudiziaria può disporre, in via cautelare, oltre all’inibitoria dell’uso nell’attività economica del nome a dominio illegittimamente registrato, anche il suo trasferimento provvisorio, subordinandolo, se ritenuto opportuno, alla prestazione di idonea cauzione da parte del beneficiario del provvedimento.

Infine, giova evidenziare che al pari degli altri segni distintivi, il nome a dominio è tutelato anche alla disciplina codicistica sulla concorrenza sleale (artt. 2598 ss. c.c).


Riferimenti Bibliografici

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Saetta B., Nomi a dominio, 2012, https://brunosaetta.it.


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