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La prepotenza di un click: può la giustizia riparativa sanare un “cyberdanno”?

di Alessandra Arcuri

Premessa

« The notional environment in which communication over computer networks occurs». È questa la definizione che l’Oxford Dictionary offre della parola cyberspazio. Si tratta della nuova “comunità virtuale”, la quinta dimensione delle relazioni umane dove quotidianamente instauriamo le nostre interazioni lavorative e sociali.

Se il cyberspace è la nuova piazza elettronica, i nostri profili social ne sono i protagonisti. Quali sono i rischi connessi a questa quinta dimensione? E’ possibile contrastare il fenomeno in modo preventivo e non retributivo?

Nel panorama attuale le risposte di giustizia sono differenti: politiche di tolleranza zero chiedono una giustizia più “repressiva” mentre la giustizia riparativa muove i primi passi per un riconoscimento culturale e normativo.

Nel presente articolo cercherò – senza pretesa di esaustività – di analizzare alcuni passaggi ritenuti significativi della prima legge in materia di Cyberbullismo (Legge n.71/2017), le differenze che intercorrono con il tradizionale fenomeno del bullismo ed, infine, il passaggio dalla tradizionale giustizia (alias “punire il cyberbullo”) alla giustizia riparativa.

Prevenzione e intervento: la legge 71/17 dopo due anni dalla sua entrata in vigore

La Legge n. 71/2017 recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del Cyberbullismo”, approvata alla Camera dei deputati il 17 maggio 2017, si pone come obiettivo quello di prevenire e contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni.
I dati rilevanti in materia di cyberbullismo dimostrano che i giovani – anzi i giovanissimi – sono le vittime dei danni, talvolta irreparabili, del web.

Un evento irrimediabilmente tragico è stato, infatti, il suicidio di Carolina Picchio, studentessa quattordicenne che nel 2013 si tolse la vita a seguito della diffusione in rete di un video a sfondo sessuale e delle esasperanti offese ricevute via social. Proprio a Carolina è dedicata l’ideazione e l’approvazione della Legge n. 71/2017.

Cosa si intende per cyberbullismo?

Indiscusso merito della normativa in esame è di aver fornito – per la prima volta – una definizione giuridica del cyberbullismo: ai sensi dell’art 1 co 2 si intende “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali” a danni del minore.

La Legge 71 del 2017 si configura, dunque, come uno strumento legislativo speciale volto a considerare unicamente il cyberbullismo e non il bullismo. Tale impostazione, tuttavia, è stata modificata nel corso del lungo iter parlamentare. Nel testo da ultimo approvato dal Senato sono stati espunti gli emendamenti della Camera che avrebbero allargato l’ambito di applicazione della legge al fenomeno del bullismo in generale.

La scelta – a parere di chi scrive – potrebbe suscitare qualche perplessità in considerazione del fatto che viviamo in una “comunità virtuale” dove ormai online e offline sono un naturale continuum.
La prevaricazione “offline” che il bullo esercita attraverso le azioni violente e intimidatorie tra i banchi di scuola si pone spesso in una relazione di continuità con la violenza “online” che il minore realizza attraverso l’invio alla vittima di immagini e video offensivi, maneggiando il suo smartphone. Diviene, dunque, sempre più complesso scindere le due realtà e comprendere se l’episodio di cyberbullismo ne costituisce un triste epilogo o inizio.

Come si raggiungono le finalità di tutela ed educazione?

Oltre alla definizione di cyberbullismo, parimenti lodevole è la scelta del legislatore di preferire finalità preventive e responsabilizzanti rispetto a soluzioni di carattere sanzionatorio. L’animo educativo-preventivo, che permea i 7 articoli della legge in esame, è evidente sin dall’art.1 co 1: obiettivo primario è contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo.

Per il raggiungimento di tali finalità, è stato fortemente valorizzato il protagonismo della scuola (art 3 e art 4). Ogni istituto ha il compito di individuare un referente per le iniziative contro il bullismo/cyberbullismo e di promuovere attività di peer education da parte di alunni o ex alunni per la prevenzione e per il contrasto del fenomeno.

Fondamentale, inoltre, è l’istituzione di un apposito tavolo tecnico – coordinato dal MIUR -chiamato a redigere un piano di azione di contrasto al cyberbullismo e realizzare una raccolta dati per monitorarne l’evoluzione.

A distanza di quasi due anni dalla sua data in vigore, il tavolo tecnico non è stato ancora istituito. Lo scorso 6 febbraio Filomena Albano, l’Autorità per l’infanzia e l’adolescenza, ha ribadito la necessità di dare attuazione alla Legge 71 del 2017 (“la fotografia è fondamentale per capire se le azioni intraprese stanno andando nella giusta direzione”).

I sistemi di notice and take down: il meccanismo di  segnalazione a disposizione del minore

Procedura particolarmente significativa è quella di cui all’art. 2: la procedura di notice and takedown a tutela del minore vittima di cyberbullismo.

Legittimati attivi della procedura sono:

  1. il minorenne ultraquattordicenne;
  2. il genitore esercente la responsabilità genitoriale.

Questi potranno rivolgersi al titolare del trattamento dei dati, ovvero al gestore del sito internet o del social media, per oscurare, rimuovere o bloccarequalsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet”.

Le tempistiche di riscontro da parte del titolare del sito sono stringenti. La norma fa riferimento a:

  • 24 ore per provvedere a comunicare di aver assunto l’incarico;
  • 48 ore per rimuovere, oscurare o bloccare i contenuti richiesti.

Qualora il titolare non abbia provveduto – o comunque nel caso in cui non sia stato possibile identificarlo-, l’interessato può rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al Garante per la protezione dei dati personali.

All’interno della procedura, è rilevante sottolineare come il minore ultraquattordicenne possa autonomamente attivarsi per l’adozione di provvedimenti a propria tutela.  Si tratta peraltro di una scelta legislativa perfettamente in linea con le altre disposizioni presenti nel nostro ordinamento.

In particolare si pensi a:

  • 2 quinquies, co. 1, D.lgs30 giugno 2003, n. 196, il novellato Codice della Privacy che ha abbassato l’età prevista “by default” dal GDPR;
  • 7 co2, L. 4 maggio 1983, n.184, Legge sull’adozione dei minori che ha riconosciuto il diritto prestare il proprio consenso al minore ultraquattordicenne.

E’ possibile contrastare il cyberbullismo in modo “preventivo” e “non retributivo”?  

Negli ultimi trent’anni si sente spesso parlare di giustizia riparativa. Essa ha cercato timidamente di andare oltre il tradizionale approccio “retributivo” della giustizia penale, mostrandone un nuovo volto maggiormente preventivo e rieducativo.

Questi due caratteri assumono grande rilevanza nel momento in cui si parla di cyberbullismo. Si tratta di  un  bullismo invisibile”, slegato dai luoghi, privato dell’empatia e della capacità di “vedere l’altro”. In realtà, pur cambiando la tipologia di violenza (aggressione fisica e/o  cyber aggressione), il rapporto vittima-autore di reato non cambia. È proprio tale relazione – lesa dalla commissione di un reato –  che necessita cura, tempo e volontà di essere riparata”.

Celebri sono le parole di Zagrebelsky:

«Diciamo anche che il crimine determina una frattura nelle relazioni sociali. In una società che prenda le distanze dall’idea del capro espiatorio, non dovrebbe il diritto mirare a riparare quella frattura? Da qualche tempo si discute di giustizia riparativa, restaurativa, riconciliativa».

È proprio la restorative justice che ha fornito una possibile risposta alla vexata quaestio che da sempre tormenta la coscienza del diritto penale: è possibile reagire al reato in modo non retributivo?

La giustizia riparativa rappresenta una vera e propria sfida culturale, prima ancora che giuridica: la capacità di reagire alla commissione del reato non secondo una logica punitiva-ritorsiva, ma attraverso “l’incontro” –  o meglio il “venirsi incontro” .

E ancora incredibilmente utili sono le parole dell’ex presidente della Corte costituzionale:

 « Si tratta di una prospettiva nuova e antichissima al tempo stesso che potrebbe modificare profondamente le coordinate con le quali concepiamo il crimine e il criminale: da fatto solitario a fatto sociale; da individuo rigettato dalla società a individuo che ne fa pur sempre parte, pur rappresentandone il lato d’un rapporto patologico. Qualcosa si muove, nella giustizia minorile, nei reati punibili a querela. Ma molto resterebbe da fare».

Nonostante l’autorevole voce dell’ex presidente della Corte costituzionale, i mass media e le politiche di tolleranza zero si muovono in senso opposto, chiedendo una giustizia più “retributiva” che sia in grado punire ogni forma di devianza.

Suscitano numerose preoccupazioni – a parere di chi scrive –alcune proposte o scelte di politica criminale che richiedono l’abbassamento dell’imputabilità dei minori da 14 a 12 anni e avanzano pericolosi slogan ingannevoli, come quello del “più carcere per tutti” e “più sicurezza e legalità”.   Tuttavia, come è a tutti noto, la verità legale ( che si misura non sul populismo ma in tassi di detenzione e di recidiva) si allontana sempre più dalla percezione sociale e da strumentalismi politici.

Conclusione

Premesse tutte queste considerazioni, si riscopre un profondo legame tra cyberbullismo e giustizia riparativa. Per alcuni aspetti, infatti, il primo costituisce la negazione degli caratteristiche fondanti della seconda.

Non più l’empatia delle relazioni interpersonali,  ma l’impossibilità di vedere dietro uno schermo le reazioni dell’altro. Non più la relazione face to face, ma innumerevoli e rapidissime interazioni nel cyberspazio. Anziché avere consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni, nel web preponderante è l’illusione dell’anonimato e la convinzione di  poter commettere impunemente delle azioni.

Riconsiderando adesso la domanda che inizialmente ci siamo posti,  i rischi connessi al cyberspazio sono numerosi e raccontano di un web sempre più tossico e complesso per il minore. L’estrema facilità diffusione dei dati moltiplica le visualizzazioni e rende qualsiasi offesa potenzialmente distruttiva per la vittima. E per quest’ultima, il rischio di sentirsi umiliata ed esclusa è molto alto, soprattutto in un’età in cui il riconoscimento e l’accettazione sociale sono considerati punti vitali e indispensabili.

Il mio auspicio è che, accanto alla giustizia tradizionale, si proceda con la giustizia “dell’ago e del filo”, la giustizia che ricuce il tessuto leso dal reato per creare delle risposte di giustizia sempre più su misura del minore.

Già nel 1988 il legislatore ha assunto la coraggiosa scelta di contemperare le esigenze punitive e di coinvolgere soggetti direttamente implicati, avendo sempre riguardo al “best interest” del minore.  E dopo 31 anni quella scelta è ancora straordinariamente attuale.


Bibliografia

CERETTI A. – MAZZUCATO C., Mediazione e giustizia riparativa tra Consiglio d’Europa e O.N.U., in Diritto penale e processo, 2001, 772 ss.

FILOMENA A.  La mediazione penale e altri percorsi di giustizia riparativa nel procedimento penale minorile https://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/mediazione-penale-giustizia-riparativa-minori.pdf, Roma, 14 dicembre 2018.

ISTAT, Indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo, https://www.istat.it/it/archivio/228976, 27 marzo 2019.

PANATTONI B., Il sistema di controllo successivo: obbligo di rimozione dell’isp e meccanismi di notice and take down  https://www.penalecontemporaneo.it/upload/3151-panattoni2018a.pdf,  Penale contemporaneo, 30 maggio 2018.

REGGIO F., La sfida della Giustizia Rigenerativa, in S. FUSELLI  e F. ZANUSO  (a cura di),  Il Lascito di Atena, FrancoAngeli, 2011, pp. 125-131.

ZAGREBELSKY G., Che cosa si può fare per abolire il carcere, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/01/23/che-cosa-si-puo-fare-per-abolire-il-carcere41.html  La Repubblica, 23 gennaio 2015.


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