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Artificial Intelligence: Analisi Teorica e Pratica dei Benefici Applicativi per uno Studio Legale

di Roberto Pelliccia

Nonostante il concetto di intelligenza artificiale appaia largamente diffuso in ogni tavola rotonda, conferenza o congresso dedicati ai temi delle nuove tecnologie, alcuni operatori del settore suggeriscono cautela.

Non tutto ciò che viene presentato al mercato come AI è effettivamente tale e, spesso, la scelta di porre in evidenza tale espressione è collegata – principalmente, se non esclusivamente – al fascino che esso esercita su potenziali investitori e sui consumatori.

In molti casi, l’utilizzo del termine “intelligenza artificiale” rimanda all’utilizzo di processi più o meno elaborati di data analysis [1] e automazione robotica che si avvale dell’impiego di Bot – altresì efficacemente definite “pseudo AI” -, ma non è realmente connesso all’autentico motore di questa tecnologia, ciò che è in grado di renderla, nelle parole di Clayton M. Christensen, una “tecnologia distruttiva” [2]: il machine learning.

Il machine learning [3], identificabile come un insieme di processi fondato su metodi statistici e diretto a migliorare la capacità di un algoritmo di identificare specifici pattern nei dati, è uno dei fattori che, in buona sostanza, consente alla macchina di imparare non solo attraverso l’input di dati, ma anche e soprattuto mediante l’autonoma elaborazione degli stessi.

Essenziali, per questa modalità di apprendimento progressivo, risultano essere tre processi, che potremmo sintetizzare in tre punti: 

1) raccolta di informazioni;
2) analisi e comprensione delle stesse;
3) assunzione di decisioni sulla base della comprensione delle informazioni inizialmente disponibili.

Queste attività, ridotte ai minimi termini, appaiono analoghe a quelle svolte da operatori umani nei più svariati contesti professionali, incluso il settore giuridico-legale.

In modo del tutto analogo a quanto avviene nel contesto di altri apparati professionali, infatti, anche uno studio legale potrà ragionevolmente detenere un interesse nell’adottare tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, nel momento in cui queste si riveleranno strategiche per velocizzare, semplificare, rendere più sostenibile e, in un’ottica più generale, aumentare la competitività dello stesso studio all’interno del mercato di appartenenza.

Esistono molte e diverse classificazioni che rimandano al grado di sofisticatezza e capacità di elaborazione che può connotare un’AI. 

In questa sede sarà sufficiente sottolineare la differenza che intercorre tra le cosiddette “strong AI” e le “weak AI” – un contraltare che potremmo tradurre, in italiano, come quello tra intelligenze artificiali “forti” e intelligenze artificiali “deboli”[4].

Nel panorama attuale, le intelligenze artificiali afferenti il settore giuridico sono perlopiù AI “deboli”. Questa classificazione, ideata dal filosofo americano John Rogers Searle, non intende minimizzare le prerogative offerte, quanto piuttosto rendere chiaro un aspetto fondamentale di questa tecnologia.

L’idea di intelligenza artificiale “forte” è quella che assegna a certe forme di AI una capacità di ragionare e risolvere problemi analoga a quella tipicamente umana, sino all’estremo di immaginare un’intelligenza artificiale che sia consapevole della propria stessa natura.

Questa AI sarebbe in grado di svolgere integralmente ogni attività che, allo stato attuale, l’essere umano considera appannaggio esclusivo della propria specie.

A parere di illustri esperti in materia, un algoritmo di tale raffinatezza è distante almeno qualche decade dalle cognizioni attuali [5].

L’intelligenza artificiale “debole”, d’altro canto, è espressione di ambizioni più contenute: l’obiettivo è quello di risolvere specifici problemi o effettuare ragionamenti inerenti questioni predefinite, per quanto complesse.

Un esempio di AI “debole” (altresì chiamata narrow AI) è rappresentato da algoritmi preposti a giocare partite di scacchi, o a riconoscere un determinato soggetto all’interno di una serie di immagini. 

Diversamente dall’intelligenza artificiale “forte”, quella “debole” non ha gli strumenti per ottenere uno stato di consapevolezza rispetto a se stessa, né dimostra la capacità di risolvere problemi diversi da quello posto, inizialmente, dall’utente.

Un algoritmo che si appoggia ad un’intelligenza artificiale “debole”, dunque, appare maggiormente incline a commettere errori. O, meglio, ad essere indotto in errore.

Esemplificativo è il caso riportato nel conference paper dal titolo “Explaining and Harnessing Adversarial Examples”, pubblicato in occasione della International Conference on Learning Representations del 2015 (ICLR 2015). [6]

I ricercatori hanno sottoposto al software di riconoscimento la foto di un panda, e questo è stato riconosciuto come tale, dall’algoritmo, con una percentuale di sicurezza nella risposta pari al 57.7%.

Applicando una distorsione alla stessa fotografia, l’algoritmo si è mostrato sicuro per il 99.3% di essere stato posto di fronte all’immagine di un gibbone, un primate che è facilmente distinguibile da un panda, a condizione, ovviamente, di essere dotati di un’approccio al pensiero che non sia strettamente basato sulle correlazioni – quale invece è quello che contraddistingue l’intelligenza artificiale “debole”.

Quest’ultimo esempio, benché estraneo al contesto giuridico, intende porre l’accento sul fatto che il ruolo del giurista, a fronte dell’utilizzo di AI nel quadro della propria attività, non possa e non debba essere sminuito.

Alla luce di queste doverose premesse, dunque, quello dell’algoritmo, anche considerando lo stato dell’arte della tecnologia in oggetto, consisterà in un ruolo di supporto, seppur di un non trascurabile rilievo.

Entriamo ora nel merito delle utilità che uno studio legale potrebbe riscontrare dall’utilizzo di tecnologie dotate di intelligenza artificiale.

Tra le attività più frequenti, nel settore, quelle riferite alla redazione di pareri e alla ricerca in banche dati giuridiche occupano una posizione prioritaria.

Da questo punto di vista esistono diversi algoritmi diretti a migliorare l’efficienza dei processi collegati. Il software ROSS, ad esempio, svolge un’analisi documentale all’interno di un ampio bacino di file e, sulla base di indicazioni di partenza fornite dall’utente, contrassegna i documenti analizzati come più o meno rilevanti per il caso oggetto di trattazione.

Una volta che un determinato tipo di documento è indicato come rilevante, gli algoritmi di apprendimento automatico possono adoperarsi per trovare altri documenti ritenuti di altrettanta utilità.

Questo tipo di ricerca, solitamente, richiede ore di scrupoloso lavoro e un’elevata concentrazione da parte del giurista.

Trattandosi di un’operazione costituita da atti ripetuti, l’algoritmo si dimostra in grado di ridurre il carico di lavoro e ottimizzare le tempistiche – ovviamente, come è stato premesso, non andando a sostituire in toto il professionista: il ruolo del software, infatti, sarà solo quello di porre in evidenza i documenti che, a parere dell’AI, saranno qualificabili come maggiormente pregnanti e idonei ad essere di una qualche utilità ed attinenza rispetto al caso di specie.

L’analisi ultima di questi atti, e dunque il giudizio definitivo sulla loro effettiva rilevanza, sarà un compito del giurista.

Questo tipo di applicativi, peraltro, si appoggia ad un sistema di elaborazione del linguaggio naturale per migliorare l’efficacia della fase di analisi dei documenti [7].

Il Natural Language Processing (NLP, traducibile in italiano come “Elaborazione del linguaggio naturale”) è uno dei temi chiave degli studi di intelligenza artificiale, che rimanda all’obiettivo di sviluppare algoritmi in grado di comprendere” il linguaggio naturale dell’uomo, scritto e/o parlato, in modo analogo a quanto potrebbe fare un altro essere umano. 

Tale livello di comprensione fonda le sue basi sulla capacità di correlazione che caratterizza l’algoritmo, il quale verrà istruito – o istruirà se stesso, nel caso in cui si tratti di un programma supportato da tecnologie di deep learning – nello svolgere un’analisi lessicale, grammaticale, sintattica e semantica (quest’ultima più nota come Word Sense Disambiguation o, abbreviato, WSD) dei dati in entrata, inseriti sotto forma di frasi, siano esse espresse verbalmente o per iscritto.

In particolare, dopo aver separato e identificato ogni parola come un dato distinto dagli altri, il programma dotato di queste prerogative si muoverà associando alle singole parole le rispettive categorie morfologiche di appartenenza, individuando quindi nomi, verbi, aggettivi e via discorrendo.

Successivamente verranno distinte le categorie predefinite cui appartengono le differenti parole (ad es. persona, animale, pianta, data, luogo, ecc.), riconoscendo dipendenze sintattiche (ad es. soggetti e complementi) e relazioni semantiche tra le stesse.

Infine, per comprendere l’autentica semantica del testo, il programma direzionerà i suoi sforzi nel cogliere il significato delle parole, razionalizzando anche il contesto e le modalità di utilizzo, fino a comprendere l’autentica intenzione che sottende all’impiego di un determinato termine, che potrebbe, ad esempio, essere usato in tono sarcastico, oppure in qualità di iperbole.

L’attitudine alla comprensione dei dati con un livello di accuratezza sufficientemente elevato consente l’espletamento di ulteriori compiti.

Tra le diverse, la due diligence [8] rappresenta una delle attività principali dell’ambito legale, non solo per diffusione e importanza, ma anche per le tempistiche richieste e l’intrinseca complessità.

Per questo motivo, diversi sviluppatori si sono focalizzati nell’elaborare software in grado di svolgere le operazioni tipicamente afferenti questo tipo di mansione.

Questi algoritmi, tra i quali possiamo citare iManage M&A Contracts Due Diligence Robot [9], sono in grado di ricercare all’interno di un bacino di documenti prestabilito, estraendo dati essenziali dagli stessi e presentandoli all’utente.

Secondo gli sviluppatori, il lavoro di ricerca e sintesi svolto dall’intelligenza artificiale è qualitativamente pari a quello che potrebbe essere effettuato da un professionista, con una macroscopica differenza in ordine alla velocità per completarlo.

Una volta estratti i dati fondamentali contenuti nel documento, il programma li esporta in un altro file pre impostato, per consentirne una visione e un’analisi in chiaro al giurista – il quale, quindi, assume in ogni caso un ruolo imprescindibile.

Secondo quanto riportato sul sito ufficiale di iManage, lo sviluppatore dell’algoritmo, in un caso reale di espletamento della due diligence, il software è riuscito ad effettuare in 40 ore l’ammontare di lavoro che ad un professionista ne avrebbe richieste circa 800 [10].

Ricerca e analisi rappresentano solo un lato della medaglia: a seguito, altrettanto rilevante è l’attività di redazione di documenti, siano essi contratti, pareri legali o di altra tipologia.

La costituzione di software sviluppati con l’obiettivo di redigere contratti è più risalente di quanto si potrebbe immaginare [11].

A partire dai primi anni del terzo millennio, la cosiddetta contract drafting technology si è fatta via via più sofisticata, sino a condurre allo sviluppo di programmi come ContractExpress, caratterizzato da un peculiare sistema di generazione dei documenti definito “questionnaire-style[12].

All’utente, a mezzo schermo, appariranno una serie di domande inerenti il documento.

Ad ogni risposta verranno man mano forniti all’algoritmo i dati necessari per strutturare una versione del contratto che sia gradualmente sempre più vicina alle intenzioni del soggetto che si sta interfacciando con il software.

L’idea di base è quindi quella di consentire, in questo modo, la realizzazione di un documento finale che sia quanto più possibile aderente alle concrete necessità del giurista – e del suo cliente.

Programmi come quello appena descritto, così come altri che condividono le medesime finalità, spesso richiedono all’utente di creare un modello predefinito di contratto il quale, una volta caricato all’interno del software, fungerà da base cui partire per orientare, a seguito del sopracitato questionario, il documento definitivo che si intende elaborare.

La semplicità di gestione, data dal sistema del “questionario”, è tale da poter consentire anche ad un soggetto che non abbia una specifica preparazione in ambito giuridico e/o negoziale di poter modificare il contratto nella sua struttura fondamentale, dando modo al cliente di definire con il massimo grado di personalizzazione il documento finale e, non secondariamente, consentendo all’esperto legale che lo assisterà di dedicare meno tempo alla redazione del contratto, guadagnandone da poter destinare ad altre mansioni.

E’ lecito immaginare, infatti, che egli possa intervenire anche solo a seguito della definizione del contratto secondo le volontà del cliente, per controllarne la forma finale e raffinarlo, eventualmente, in modo ulteriore.

Il quadro sinteticamente riportato evidenzia solo una minima parte delle ricerche e dei progressi compiuti in materia. 

Alla luce di queste innovazioni, l’intelligenza artificiale si sta dimostrando veicolo di un importante cambiamento nelle modalità con le quali è possibile esercitare la professione di giurista, anche – e non esclusivamente – nel contesto di uno studio legale.

E’ lecito pensare che da qui ai prossimi dieci, venti anni, questi fattori continueranno a modificare l’approccio operativo degli studi legali, sino a condurre il mercato a richiedere, a questi stessi studi, cambiamenti strutturali di rilievo per continuare a mantenere una posizione di riferimento nei settori di interesse.

Gli stessi ambiti nei quali lo studio legale vorrà focalizzare il proprio business condizioneranno le scelte che dovranno essere compiute, in ordine all’entità e alla direzione degli investimenti, nonché alla valutazione del rischio per gli stessi.
Non da ultimo, le competenze del giurista, di pari passo con questa evoluzione, dovranno riflettere la figura di un soggetto che non solo abbia solide basi in materia giuridica, ma che si dimostri anche in grado di muoversi agevolmente in settori diversi e trasversali.

L’incorporazione di tecnologie di AI in uno studio legale non è – e con tutta probabilità non sarà – in grado di sostituire integralmente il lavoro di un esperto e competente avvocato.

Ciononostante, appare legittimo chiedersi se adottare queste tecnologie non possa divenire, nei prossimi anni, sempre meno una questione di assurgere a leader del mercato e sempre più una necessità di rimanere competitivi, all’interno dello stesso


 NOTE

[1] Per data analysis si intende il processo di ispezione, pulizia, trasformazione e modellazione di dati, al fine di ottenere informazioni utili alla definizione delle decisioni strategiche aziendali.

Al link che segue, una pagina web curata dall’Università di Pretoria (Repubblica del Sudafrica), pubblicata quale ausilio allo svolgimento di ricerche per studenti e ricercatori.
Oltre ad una definizione di Data Analysis, vi è ivi indicata una selezione di volumi (in lingua inglese) nei quali è riportata una trattazione approfondita del tema.
https://up-za.libguides.com/c.php?g=485435&p=4425510.

[2] L’espressione originale, coniata in lingua inglese, è “disruptive technology”.

Fu introdotta nell’articolo del 1995 Disruptive Technologies: Catching the Wave, scritto da Clayton M. Christensen e Joseph Bower, e venne poi ripresa in pubblicazioni successive, The Innovator’s Dilemma e The Innovator’s Solution. In quest’ultima produzione venne preferita una versione rivisitata dell’espressione, che venne modificata nella forma e nel concetto, plasmandosi come “disruptive innovation”. 

[3] Il machine learning è un approccio allo sviluppo dell’intelligenza artificiale secondo il quale la stessa AI è strutturata per apprendere in modo autonomo, attraverso l’osservazione di esempi e la definizione e l’individuazione di correlazioni e schemi di ripetizione, all’interno della massa di dati sottoposta ad analisi.

[4] M. Ryan; “The Digital Mind: An Exploration of artificial intelligence” (2014).

[5] K. Grace; J. Salvatier; A. Dafoe; B. Zhang; O. Evans (31 July 2018).
“Viewpoint: When Will AI Exceed Human Performance? Evidence from AI Experts” tratto da Journal of Artificial Intelligence Research. 62, pagine da 729 a 754, ISSN 1076-9757.

[6] I. J. Goodfellow; J. Shlens; C. Szegedy. “Explaining and Harnessing Adversarial Examples”.

Al link che segue una versione in pdf del paper oggetto della citazione https://arxiv.org/pdf/1412.6572.pdf.

[7] J. Eisenstein; “Introduction to Natural Language Processing”, MIT Press (2019).

[8] Con il termine due diligence si fa riferimento all’attività consistente nell’assunzione e nell’elaborazione di una rilevante mole di informazioni, riferite ad un particolare soggetto giuridico (target), finalizzata a far emergere in un documento finale (report) tutti gli aspetti ritenuti rilevanti in relazione all’operazione cui la due diligence è funzionalmente collegata. 

La definizione e ulteriori dettagli in materia sono riscontrabili nel Capitolo terzo del volume “Due Diligence”, di M. Fazzini, Wolters Kluwer (2015), dal titolo “Due Diligence Legale”, a cura di G. Passagnoli e A. Marchini.

[9] Nonostante la denominazione “robot”, il prodotto in questione ha una matrice digitale, non robotica.

[10] Il dato oggetto della citazione è rinvenibile al link che segue, https://imanage.com/blog/due-diligence-with-ai/.

[11] Per approfondire il tema dell’origine di questa tipologia di programmi si segnala l’elaborato di Marc Lauritsen, redatto in qualità di Working Paper per l’undicesima edizione della “International Conference on AI and Law”, organizzata dall’Università di Stanford nel Giugno del 2007.
Si riporta di seguito un link diretto alla pubblicazione https://www.researchgate.net/profile/Marc_Lauritsen/publication/228376699_Current_Frontiers_in_Legal_Drafting_Systems/links/547ca69e0cf27ed978622b47.pdf.

[12] Ken Adams & Tim Allen, The Illusion of Quality in Contract Drafting, N.Y.L.J. (July 17, 2012). 


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