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Polizia Predittiva: il futuro della prevenzione criminale?

di Roberto Pelliccia

Pre-crimine. Un termine evocativo, dal sapore scientifico.

Eppure, coniato dal suo autore nell’ambito di un racconto di pura finzione.
Chissà se Philip K. Dick riuscì a spingere la sua non discutibile creatività sino ad ipotizzare che, un giorno, algoritmi e tecnologie avrebbero consentito all’uomo di realizzare ciò che lui, nella sua storia, aveva figurato solo come una bizzarra fantasia, concretizzando risultati che, ai suoi tempi, sarebbero stati ritenuti degni di essere inseriti in uno dei suoi racconti.

Risultati che hanno spinto analisti ed esperti del settore a chiedersi, con sempre maggiore convinzione, se la cosiddetta “polizia predittiva” non rappresenti, oggi, un potenziale giro di boa nell’ambito della prevenzione criminale. Una domanda legittima, a cui si potrebbe tentare di rispondere offrendo una panoramica delle caratteristiche e delle possibilità che i servizi legati alla polizia predittiva sono in grado di offrire.

Innanzitutto, cosa si intende per polizia predittiva? Il termine “predictive policing” riflette un insieme di procedure e metodologie che le autorità di polizia applicano per contrastare il fenomeno criminale.

Diretta evoluzione della “intelligent-led policing”, tra le prime strategie focalizzate sull’analisi delle informazioni, piuttosto che sullo studio delle cause scatenanti del crimine, ha appreso da essa strumenti, tecniche e processi che consentono alle autorità di pubblica sicurezza di individuare le tendenze e i modelli riscontrabili all’interno delle grandi quantità di dati raccolti relativamente alla commissione di atti illegali in specifiche aree geografiche [1].

L’evoluzione compiuta dalla predictive policing consiste nell’utilizzare l’analisi dei dati raccolti per attuare una politica che non miri alla sola creazione di modelli e trend dei comportamenti criminali, ma che consenta, attraverso l’analisi di questi trend, di prevenire la realizzazione degli specifici crimini oggetto della statistica.

Il fondamento teorico della polizia predittiva è costituito dalle teorie della criminologia ambientale, secondo le quali, in estrema sintesi, gli atti criminali possono essere previsti considerando come un individuo tenderà a commettere un delitto ogni qual volta che i benefici derivanti dal crimine siano altamente desiderabili e vi sia l’opportunità di commetterlo.

Segnatamente, questa opportunità è legata alla presenza di una serie specifica di fattori, definiti dalle teorie razionali del crimine ed, in particolare, dalla “Teoria delle Attività di Routine”:  la presenza di un autore motivato (motivated offender) e di obiettivi/bersagli che suscitino “interesse” nell’offender (suitable targets), nonché, contestualmente, l’assenza di quello che viene definito “guardiano capace” (capable guardian), cioè di una persona -o di un sistema, ad esempio una serie di telecamere- che sia in grado di impedire che il crimine venga portato a compimento, o che quantomeno ne disincentivi il tentativo di realizzazione [2].

Considerati questi elementi, definire aree nelle quali la commissione di un crimine appaia più probabile rispetto ad altre sembra non essere un obiettivo poi così distante, anzi, può diventare quasi intuitivo.
Chiunque può immaginare che le caratteristiche spazio-temporali possano condizionare il dove e il quando sia più probabile che avvenga un crimine, e in effetti studi di settore largamente dimostrati hanno indicato come la criminalità non sia diffusa uniformemente, ma si concentri in alcuni luoghi, detti “hot spot”, e durante alcune ore della giornata o alcuni periodi specifici della settimana, del mese o dell’anno [3].

Fino all’inizio del XXI secolo, un potenziale scoglio era rappresentato non tanto dal reperimento delle informazioni, quanto dall’analisi di una mole tanto significativa di dati. In altre parole, assodata l’esistenza di luoghi e momenti in cui la commissione di certi reati è più probabile, come scoprire quali reati, quali luoghi e quali momenti?

Il balzo in avanti è arrivato grazie alle moderne tecnologie e alla loro capillare diffusione, in particolare grazie al cosiddetto processo di KDD (Knowledge Discovery in Database), l’attività informatica che ha per oggetto l’estrazione di conoscenza a partire dalla grande quantità di dati immagazzinati nei database [4].

Gli algoritmi di data mining si sono rivelati, in poco tempo dal loro perfezionamento, il vero fulcro del progetto di polizia predittiva.

Allo stato attuale, i progetti che hanno come obiettivo lo sviluppo di questi algoritmi sono nell’ordine delle decine, e sono solo quelli resi noti.

Un esempio meritevole di attenzione è quello rappresentato da Keycrime. Keycrime -nome del software e della start-up che ne ha curato la creazione- è stato sviluppato da Mario Venturi, poliziotto con oltre 30 anni di servizio, e al momento si trova in dotazione esclusiva alla questura di Milano.

Venturi iniziò a lavorarci nel 2007, nel corso del suo incarico presso l’ufficio Prevenzione Generale, quando ebbe modo di studiare le statistiche relative alle denunce di rapine compiute in città.

Iniziando a raccogliere dettagli dei crimini in un rudimentale database, nella cui memoria finirono inizialmente le informazioni più generiche rispetto al reato -il quartiere, l’ora, il tipo di negozio preso di mira-, poi via via quelle più dettagliate, legate al comportamento e alle caratteristiche dell’autore, costituì lo stato embrionale del software oggi impiegato [5].

In poco tempo, Venturi si ritrovò a sviluppare il suo software affiancato da un gruppo di cinque persone, anche grazie ai risultati estremamente positivi.

Le rapine in negozi, farmacie e supermercati erano state 664 nel 2008. Nel 2015 il dato scese a 283, fino ad arrivare alle 278 del 2017.

Ci fu una riduzione del 58% del numero di rapine e, non secondariamente, il colpevole venne identificato nel 58% dei casi, contro il 10% del 2008.

Un calo importante riguardò anche le rapine in banca (dalle 329 del 2009 alle 57 del 2015), anche se, in questo caso, secondo gli esperti, l’impatto del Keycrime andrebbe contestualizzato in una più generale tendenza alla riduzione su scala nazionale.

Se guardiamo ai crimini risolti, non solo a quelli commessi, i numeri restano comunque molto rassicuranti.

Nel 2007, anno di inizio della sperimentazione, la percentuale di risoluzione col Key Crime per i reati di rapine a esercizi commerciali era del 27%; nel 2013 è diventata del 54%, con un picco dell’81% per i furti in farmacia.

Per quanto riguarda le rapine in banca, nel 2013 il 74% dei casi è stato risolto anche grazie al software, e il numero di rapine è sceso del 61% tra il 2013 e il 2014 [6].

I risultati di Keycrime sono stati messi al vaglio da una ricerca condotta dalla Essex University.

Lo studio ha evidenziato quello che appare un consistente punto di forza di Keycrime rispetto ai competitor. Mentre questi lavorano su base puramente statistica, indicando dove, quando e che tipo di crimine sarà commesso, Keycrime si offre di definire anche il come, grazie a un analisi delle modalità comportamentali dell’autore, ai suoi tratti psicologici.

Per farlo, il software struttura la raccolta di informazioni sulla base di interviste effettuate ad hoc, elaborate con l’aiuto di alcuni psicologi, per cogliere eventuali sfumature di comportamento dell’autore con un notevole grado di dettaglio – se il soggetto abbia usato armi e quali, se sia mancino o destrorso, se abbia agito solo o con dei complici, e via discorrendo – al fine di individuarne lo schema d’azione e prevedere, con la maggiore approssimazione possibile, dove e quando quello specifico soggetto colpirà di nuovo. L’obiettivo del software quindi non è quello di portare la polizia a presidiare un’area in cui è probabile che avvenga un crimine, ma di prevedere dove colpirà il criminale che si sta cercando.

Partendo da questo presupposto si comprende come il software possa essere in grado di attribuire la responsabilità anche di altri crimini già compiuti dalla persona fermata: se prima si veniva condannati solo per lo specifico reato che veniva contestato, oggi Keycrime permette di portare a giudizio non per un solo evento, ma per una serie di eventi.

A questo proposito Giovanni Mastrobuoni, economista e coordinatore degli studi condotti su Keycrime da parte della Essex University, sottolinea come, dal momento che KeyCrime lavora sulla serialità, la sua efficacia vada misurata sui crimini che fanno parte di una sequenza, non su quelli isolati, e che maggiore è la lunghezza della serie, migliore è la capacità di previsione [7].

La panoramica offerta finora sembra mostrare un indirizzo piuttosto unanime: i software di polizia predittiva rappresentano il futuro della prevenzione criminale, e polarizzeranno l’azione delle autorità, nella fase investigativa, da qui al prossimo futuro.

Tuttavia, non tutte le opinioni sono concordi. Alcuni manifestano dubbi, più o meno fondati, non tanto sull’utilità degli algoritmi, quanto sui rischi che il loro utilizzo comporterebbe.

Tra questi, alcuni dei detrattori fanno spesso riferimento ad un potenziale pregiudizio per alcune minoranze etniche.

Attivisti e accademici statunitensi lamentano da tempo questa eventualità; nel 2016, lo Human Rights Data Analysis Group (Hrdag) analizzò le previsioni di PredPol (software con obiettivi analoghi a Keycrime impiegato negli USA) sulla città di Oakland relative al consumo illegale di droga. Nonostante i dati del dipartimento Health and Human Services mostrino che l’uso illecito di sostanze è diffuso uniformemente in tutta la città, le zone che PredPol segnalò come particolarmente a rischio furono quelle abitate perlopiù da cittadini afro-americani con basso reddito [8].

Il motivo di questa discrepanza, secondo Hrdag, è che il sistema riceve come input i dati storici sulle denunce e gli arresti e prevede, di conseguenza, il comportamento delle vittime e della polizia piuttosto che dei criminali. In altre parole, apprenderebbe e costruirebbe le sue previsioni sulla base dei pregiudizi radicati nella società americana [9]. Per altri, una diversa e potenziale ripercussione è che la diminuzione dei reati per merito di questi programmi faccia dimenticare che compito della società non è solo quello di reprimere il crimine, ma anche di lavorare sulle cause socio-economiche che portano criminalità.

Il rischio, quindi, è che le forze dell’ordine e gli sforzi politici si accontentino di mettere in atto una militarizzazione delle zone più difficili, senza indagare e contrastare le effettive cause della criminalità.

Infine il caso Precobs, software predittivo impiegato in Germania, criticato sulla base del timore che la raccolta indiscriminata di dati, anche personali, possa scoprire il fianco sul versante della tutela della privacy e su quella del diritto alla presunzione di innocenza [10].

Queste immani quantità di dati, infatti, necessariamente conservati, si presterebbero ad essere oggetto di attacchi hacker.

A che fine? Cancellarli? Manipolarli? Sfruttarne la conoscenza per migliorare le “performance delinquenziali”?

Le possibilità appaiono tante quante quelle che la mente del più ingegnoso dei criminali sia in grado di figurare.
Quello che rileva è come il dibattito torni, nuovamente ed inevitabilmente, verso privacy e sicurezza. E come paia, ancora una volta, che per avere l’una debba necessariamente sacrificarsi l’altra.

Il parere di chi vi scrive è che i benefici, allo stato attuale, superino di gran lunga le potenziali criticità, e che se anche lo stato del progetto si mostri in costante divenire, le prospettive siano al momento tali da giustificare investimenti e ricerche.

Ciononostante, un’equilibrata applicazione degli algoritmi in questione dovrebbe sempre muoversi sotto l’egida degli operatori: non dovrebbero mai mancare, nonostante la predisposizione al machine learning favorito dalle più moderne intelligenze artificiali, l’esperienza e l’umanità necessarie ad approcciare, con la sensibilità necessaria -la stessa che spinse tutti i Mario Venturi del mondo ad imbarcarsi nel rispettivo progetto- un tema delicato quanto quello della prevenzione criminale.


[1] RATCLIFFE, J.H., Intelligence-led policing, https://www.academia.edu/26606540/Ratcliffe_2008_Intelligence-led_policing_ECCA_chapter.pdf, in WORTLEY R. e MAZEROLLE L. (a cura di), Environmental Criminology and Crime Analysis, Willan Publishing, 2008, 263 ss.

[2] WILLIAMS F.P., Mc SHANE M.D., Devianza e criminalità, Il Mulino, 2002, 194 ss.

[3] SHERMAN L., Hot spots of crime and criminal careers of places, in ECK J. – WEISBURD (a cura di), Crime and place. Crime prevention studies Vol.1, New York, 1995, 35 ss.

[4] DULLI S., FURINI S., PERON E., Data mining: metodi e strategie, Springer Editore, 2009.

[5] VENTURI M., introduzione di BENEDETTI M., KeyCrime© La chiave del crimine http://eprints.bice.rm.cnr.it/10312/1/KeyCrime.pdf, in PrimoPiano, Dicembre 2014, N. 4.

[6] La statistiche citate sono state presentate nel corso del convegno “Milano, città sicura per i negozi?”, organizzato nel 2016 presso il Palazzo delle Stelline nell’ambito del “Security for Retail Forum”, seminario dedicato agli operatori della sicurezza della distribuzione.

[7] MASTROBUONI G., Crime is terribly revealing: Information technology and Police productivity, https://www.dropbox.com/s/nxwabyzqvklombk/Keycrime_evaluation_new4.pdf?dl=0, Febbraio 2017. Contiene ed espone i risultati della ricerca condotta per conto della Essex University.

[8] La riflessione sul tema definita dal Hrdag è sintetizzata qui, https://hrdag.org/usa/, in un articolo riportato sul sito ufficiale dell’organizzazione, al paragrafo “The Problem with Predictive Policing”.

[9] Per un’analisi critica sugli effetti potenzialmente discriminatori dell’utilizzo di PredPol nella città di Oakland, THOMAS E., “Why Oakland Police Turned Down Predictive Policing” in https://motherboard.vice.com/en_us/article/ezp8zp/minority-retort-why-oakland-police-turned-down-predictive-policing.

[10] KREMER J., The end of freedom in public places? Privacy problems arising from surveillance of the European public space, https://helda.helsinki.fi/bitstream/handle/10138/176300/TheEndof.pdf?sequence=1, in particolare il capitolo 3.4.2 “Prediction”, 269 ss.


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