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Privacy & GDPR

Posizione del RPD – Linee guida del Garante Privacy

By July 14, 2017No Comments

Linee guida GDPR sui responsabili della protezione dei dati (RPD) dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali

Adottate il 13 dicembre 2016 – Versione emendata e adottata in data 5 aprile 2017

Posizione del RPD

Coinvolgimento del RPD in tutte le questioni riguardanti la protezione dei dati personali
Ai sensi dell’articolo 38 del RGPD, il titolare e il responsabile assicurano che il RPD sia “tempestivamente e adeguatamente coinvolto in tutte le questioni riguardanti la protezione dei dati personali”.
E’ essenziale che il RPD, o il suo team di collaboratori, sia coinvolto quanto prima possibile in ogni questione attinente la protezione dei dati. Per quanto concerne le valutazioni di impatto sulla protezione dei dati, il regolamento prevede espressamente che il RPD vi sia coinvolto fin dalle fasi iniziali e specifica che il titolare ha l’obbligo di consultarlo nell’effettuazione di tali valutazioni. Assicurare il tempestivo e immediato coinvolgimento del RPD, tramite la sua informazione e consultazione fin dalle fasi iniziali, faciliterà l’osservanza del RGPD e promuoverà l’applicazione del principio di privacy (e protezione dati) fin dalla fase di progettazione; pertanto, questo dovrebbe rappresentare l’approccio standard all’interno della struttura del titolare/responsabile. Inoltre, è importante che il RPD sia annoverato fra gli interlocutori all’interno della struttura suddetta, e che partecipi ai gruppi di lavoro che volta per volta si occupano delle attività di trattamento.
Ciò significa che occorrerà garantire, per esempio:
– che il RPD sia invitato a partecipare su base regolare alle riunioni del management di alto e medio livello;
– la presenza del RPD ogniqualvolta debbano essere assunte decisioni che impattano sulla protezione dei dati. Il RPD deve disporre tempestivamente di tutte le informazioni pertinenti in modo da poter rendere una consulenza idonea;
– che il parere del RPD riceva sempre la dovuta considerazione. In caso di disaccordi, il WP29 raccomanda, quale buona prassi, di documentare le motivazioni che hanno portato a condotte difformi da quelle raccomandate dal RPD;
– che il RPD sia consultato tempestivamente qualora si verifichi una violazione dei dati o un altro incidente.
Ove opportuno, il titolare o il responsabile potrebbero mettere a punto linee-guida ovvero programmazioni in materia di protezione dei dati che indichino i casi di consultazione obbligatoria del RPD.

Risorse necessarie

L’articolo 38, secondo paragrafo, del RGPD obbliga il titolare o il responsabile a sostenere il RPD “fornendogli le risorse necessarie per assolvere tali compiti e accedere ai dati personali e ai trattamenti e per mantenere la propria conoscenza specialistica”. Ciò si traduce, in modo particolare, nelle indicazioni seguenti:
– supporto attivo delle funzioni del RPD da parte del senior management (per esempio, a livello del consiglio di amministrazione);
– tempo sufficiente per l’espletamento dei compiti affidati al RPD. Ciò riveste particolare importanza se viene designato un RPD interno con un contratto part-time, oppure se il RPD esterno si occupa di protezione dati oltre a svolgere altre incombenze. In caso contrario, il rischio è che le attività cui il RPD è chiamato finiscano per essere trascurate a causa di conflitti con altre priorità. E’ fondamentale disporre di tempo sufficiente da dedicare allo svolgimento dei compiti previsti per il RPD; una prassi da raccomandare consiste nel definire la percentuale del tempo lavorativo destinata alle attività di RPD quando quest’ultimo svolga anche altre funzioni. Un’altra buona prassi consiste nello stabilire il tempo necessario per adempiere alle relative incombenze, definire il livello di priorità spettante a tale incombenze, e prevedere che il RPD stesso (ovvero l’azienda/l’organismo titolare o responsabile) rediga un piano di lavoro;
– supporto adeguato in termini di risorse finanziarie, infrastrutture (sede, attrezzature, strumentazione) e, ove opportuno, personale;
– comunicazione ufficiale della nomina del RPD a tutto il personale, in modo da garantire che la sua presenza e le sue funzioni siano note all’interno dell’azienda/dell’organismo;
– accesso garantito ad altri servizi (risorse umane, ufficio giuridico, IT, sicurezza, ecc.) così da fornire al RPD supporto, informazioni e input essenziali;
– formazione permanente. I RPD devono avere la possibilità di curare il proprio aggiornamento con riguardo agli sviluppi nel settore della protezione dati. Ciò mira, in ultima analisi, a consentire un incremento continuo del livello di competenze proprio dei RPD, che dovrebbero essere incoraggiati a partecipare a corsi di formazione su materie attinenti alla protezione dei dati e ad altre occasioni di professionalizzazione (forum in materia di privacy, workshop, ecc.);
– alla luce delle dimensioni e della struttura della singola azienda/del singolo organismo, può risultare necessario costituire un ufficio o un gruppo di lavoro RPD (formato dal RPD stesso e dal rispettivo personale). In casi del genere, è opportuno definire con precisione la struttura interna del gruppo di lavoro nonché i compiti e le responsabilità individuali. Analogamente, se la funzione di RPD viene esercitata da un fornitore di servizi esterno all’azienda/all’organismo, potrà aversi la costituzione di un gruppo di lavoro formato da soggetti operanti per conto di tale fornitore e incaricati di svolgere le funzioni di RPD sotto la direzione di un responsabile che funga da contatto per il cliente.
In linea di principio, quanto più aumentano complessità e/o sensibilità dei trattamenti, tanto maggiori devono essere le risorse messe a disposizione del RPD. La funzione “protezione dati” deve poter operare con efficienza e contare su risorse sufficienti in proporzione al trattamento svolto.

Istruzioni e [significato di] “adempiere alle funzioni e ai compiti loro incombenti in maniera indipendente”

L’articolo 38, terzo paragrafo, fissa alcune garanzie essenziali per consentire ai RPD di operare con un grado sufficiente di autonomia all’interno dell’organizzazione del titolare/responsabile. In particolare, questi ultimi sono tenuti ad assicurare che il RPD “non riceva alcuna istruzione per quanto riguarda l’esecuzione di tali compiti”. Il considerando 97 aggiunge che i RPD “dipendenti o meno del titolare del trattamento, dovrebbero poter adempiere alle funzioni e ai compiti loro incombenti in maniera indipendente”.
Ciò significa che il RPD, nell’esecuzione dei compiti attribuitigli ai sensi dell’articolo 39, non deve ricevere istruzioni sull’approccio da seguire nel caso specifico – quali siano i risultati attesi, come condurre gli accertamenti su un reclamo, se consultare o meno l’autorità di controllo. Né deve ricevere istruzioni sull’interpretazione da dare a una specifica questione attinente alla normativa in materia di protezione dei dati.
Tuttavia, l’autonomia del RPD non significa che quest’ultimo disponga di un margine decisionale superiore al perimetro dei compiti fissati nell’articolo 39.
Il titolare o il responsabile mantengono la piena responsabilità dell’osservanza della normativa in materia di protezione dei dati e devono essere in grado di dimostrare tale osservanza. Se il titolare o il responsabile assumono decisioni incompatibili con il RGPD e le indicazioni fornite dal RPD, quest’ultimo dovrebbe avere la possibilità di manifestare il proprio dissenso al più alto livello del management e ai decisori. Al riguardo, l’art. 38, paragrafo 3, prevede che il RPD “riferisce direttamente al vertice gerarchico del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento”. Tale rapporto diretto garantisce che il vertice amministrativo (per esempio, il consiglio di amministrazione) sia a conoscenza delle indicazioni e delle raccomandazioni fornite dal RPD nel quadro della sue funzioni di informazione e consulenza a favore del titolare o del responsabile. Un altro esempio di tale rapporto diretto consiste nella redazione di una relazione annuale delle attività svolte dal RPD da sottoporre al vertice gerarchico.

Rimozione o penalizzazioni in rapporto all’adempimento dei compiti di RPD
L’articolo 38, terzo paragrafo, prevede che il RPD “non è rimosso o penalizzato dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento per l’adempimento dei propri compiti”.
Questa prescrizione mira a potenziare l’autonomia del RPD e ad assicurarne l’indipendenza nell’adempimento dei compiti assegnatigli, attraverso la previsione di un’adeguata tutela.
Il divieto di penalizzazioni menzionato nel RGPD si applica solo con riguardo a quelle penalizzazioni eventualmente derivanti dallo svolgimento dei compiti propri del RPD. Per esempio, un RPD può ritenere che un determinato trattamento comporti un rischio elevato e quindi raccomandare al titolare o al responsabile di condurre una valutazione di impatto, ma questi ultimi non concordano con la valutazione del RPD. In casi del genere non è ammissibile che il RPD sia rimosso dall’incarico per avere formulato la raccomandazione in oggetto.

Le penalizzazioni possono assumere molte forme e avere natura diretta o indiretta. Per esempio, potrebbero consistere nella mancata o ritardata promozione, nel blocco delle progressioni di carriera, nella mancata concessione di incentivi rispetto ad altri dipendenti. Non è necessario che si arrivi all’effettiva applicazione di una penalizzazione, essendo sufficiente anche la sola minaccia nella misura in cui sia rivolta al RPD in rapporto alle attività da questi svolte.
Viceversa, e conformemente alle normali regole di gestione applicabili a ogni altro dipendente o fornitore soggetto alla disciplina del rispettivo contratto nazionale ovvero alle norme di diritto penale e del lavoro, sarebbe legittimamente possibile interrompere il rapporto con il RPD per motivazioni diverse dallo svolgimento dei compiti che gli sono propri: per esempio, in caso di furto, molestie sessuali o di altro genere, o altre analoghe e gravi violazioni deontologiche.
In questo ambito va rilevato che il RGPD non specifica le modalità e la tempistica riferite alla cessazione del rapporto di lavoro del RPD o alla sua sostituzione. Tuttavia, quanto maggiore è la stabilità del contratto stipulato con il RPD e maggiori le tutele previste contro l’ingiusto licenziamento, tanto maggiore sarà la probabilità che l’azione del RPD si svolga in modo indipendente. Il WP29 vede, quindi, con favore ogni iniziativa assunta in tal senso dai titolari e responsabili di trattamento.

Conflitto di interessi
In base all’art. 38, paragrafo 6, al RPD è consentito di “svolgere altri compiti e funzioni”, ma a condizione che il titolare o il responsabile del trattamento si assicuri che “tali compiti e funzioni non diano adito a un conflitto di interessi”.
L’assenza di conflitti di interessi è strettamente connessa agli obblighi di indipendenza. Anche se un RPD può svolgere altre funzioni, l’affidamento di tali ulteriori compiti e funzioni è possibile solo a condizione che essi non diano adito a conflitti di interessi. Ciò significa, in modo particolare, che un RPD non può rivestire, all’interno dell’organizzazione del titolare o del responsabile, un ruolo che comporti la definizione delle finalità o modalità del trattamento di dati personali. Si tratta di un elemento da tenere in considerazione caso per caso guardando alla specifica struttura organizzativa del singolo titolare o responsabile.
A grandi linee, possono sussistere situazioni di conflitto all’interno dell’organizzazione del titolare o del responsabile riguardo a ruoli manageriali di vertice (amministratore delegato, responsabile operativo, responsabile finanziario, responsabile sanitario, direzione marketing, direzione risorse umane, responsabile IT), ma anche rispetto a posizioni gerarchicamente inferiori se queste ultime comportano la determinazione di finalità o mezzi del trattamento. Inoltre, può insorgere un conflitto di interessi se, per esempio, a un RPD esterno si chiede di rappresentare il titolare o il responsabile in un giudizio che tocchi problematiche di protezione dei dati.
A seconda delle attività, delle dimensioni e della struttura organizzativa del titolare o del responsabile, si possono indicare le seguenti buone prassi:
– individuare le qualifiche e funzioni che sarebbero incompatibili con quella di RPD;
– redigere regole interne a tale scopo onde evitare conflitti di interessi;
– prevedere un’illustrazione più articolata dei casi di conflitto di interessi;
– dichiarare che il RPD non versa in alcuna situazione di conflitto di interessi con riguardo alle funzioni di RPD, al fine di sensibilizzare rispetto al requisito in questione;
– prevedere specifiche garanzie nelle regole interne e fare in modo che nel segnalare la disponibilità di una posizione lavorativa quale RPD ovvero nel redigere il contratto di servizi si utilizzino formulazioni sufficientemente precise e dettagliate così da prevenire conflitti di interessi. Al riguardo, si deve ricordare, inoltre, che un conflitto di interessi può assumere varie configurazioni a seconda che il RPD sia designato fra soggetti interni o esterni all’organizzazione.

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