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Diritto d’autore: esperienza Europea e Statunitense a confronto

di Carmine Perri

Premessa

Nonostante il continuo processo di convergenza tra la legislazione Europea e quella Statunitense in materia di diritto d’autore, persistono delle divergenze strutturali tra i due sistemi.

Veicolo primario ditale percorso è stata la stipula di numerosi accordi multilaterali tra gli Stati in tale settore, che hanno fornito un livello di tutela minimo tra gli Stati firmatari. Tale processo è stato ulteriormente corroborato dall’adesione degli USA, dopo oltre un secolo, alla Convenzione di Berna nel 1989[1].

E’ opportuno premettere che la disciplina del diritto d’autore americana è prevalentemente contenuta nel Copyright Act del 1976.

Attraverso la riforma del 1976, infatti, si è aperta la strada all’adesione americana alla suddetta Convenzione, modificando il sistema di computo della durata del diritto d’autore, nonché eliminando le formalità precedentemente previste circa l’efficacia costitutiva del diritto e, infine, limitando sensibilmente il campo di applicazione delle licenze obbligatorie, che ne ha determinato un maggiore avvicinamento al sistema europeo.[2]

Nel Vecchio Continente la disciplina relativa al copyright è contenuta, oltre che negli ordinamenti nazionali degli Stati membri dell’Unione, in una serie di direttive[3][4][5][6], tra le quali assume particolare rilevanza la Direttiva n.2001/29/CE sull’armonizzazione di alcuni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella Società dell’Informazione (Direttiva InfoSoc.)[7].

Persiste, tuttavia, una diversa impostazione di fondo dei due sistemi di copyright, che affonda le proprie radici nelle profonde differenze storiche e culturali dei due continenti.

E’ opportuno, pertanto, analizzare i tratti peculiari dell’esperienza Europea e di quella Statunitense soffermandosi sui loro aspetti più controversi quali: diritti morali, disciplina del “fair use” e “work for hire”.

Diritti morali 

La gran parte delle differenze tra gli ordinamenti dell’Europa continentale e i Paesi anglosassoni in tema di diritto d’autore riguarda la categoria dei diritti morali.

E’ opportuno premettere che i diritti morali si contrappongono ai diritti patrimoniali, poiché non disciplinano la tutela del patrimonio dell’autore ma, bensì, sono volti ad assicurargli un potere di controllo sull’integrità dell’opera e di rivendicazione della paternità.

L’assenza di armonizzazione delle legislazioni su tale aspetto risulta per lo più  imputabile alla mancata imposizione ai Paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), da parte dell’art.9 c.1 dell’Accordo TRIPS, di uniformarsi alla disciplina della Convenzione di Berna in tema di diritti morali (art.6bis), limitandosi a prescrivere l’adeguamento  solo in tema di diritti patrimoniali.[8]

La differenza maggiore, tra i due sistemi, risiede, quindi, nello spettro meno ampio di tutele riconosciute alla personalità dell’artista, nel fatto che grazie ad un contratto concluso tra le parti, nei sistemi anglosassoni, quest’ultimo può spogliarsi dei diritti morali sull’opera, nonché nella minore durata degli stessi in capo a quest’ultimo.

Le ragioni di questa differente impostazione di fondo vanno individuate nella diversa concezione filosofica che permea tali ordinamenti.

La concezione monistica, tipica dei sistemi giuridici di common law, considera in modo onnicomprensivo i diritti in capo all’autore alla stregua di un generale “personality right[9]; mentre, la concezione dualistica, peculiare ai Paesi di civil law, disciplina le due categorie di diritti separatamente, annoverando il diritto di sfruttare economicamente la propria opera e quello al riconoscimento della personalità dell’artista sull’opera.

Va evidenziato che la visione del diritto d’autore accolta in seno alla tradizione continentale europea è sostanzialmente “romantica” poiché, influenzata dal pensiero di filosofi quali Kant[10]ed Hegel[11], afferma il principio secondo il quale “è attraverso il lavoro che lo spirito riesce pienamente a realizzarsi” e, pertanto, all’artista viene riconosciuto sia il diritto allo sfruttamento economico dell’opera che quello alla protezione della sua reputazione professionale.

Nel vecchio continente, infatti, con l’affermarsi dell‘Illuminismo si è registrato un passaggio epocale dal sistema medievale dei “privilegi”[12], che tutelava maggiormente le esigenze dello stampatore-editore, al sistema moderno che, al contrario, ha posto l’autore e le sue esigenze in una posizione di supremazia.[13]

Per tale ragione, in Europa, la categoria dei diritti morali riceve un alto livello di protezione attraverso il riconoscimento all’autore di una serie di diritti quali: il diritto di divulgazione, il diritto alla paternità dell’opera, il diritto di inedito e il diritto di opporsi a qualsiasi modificazione che possa arrecare pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione. Inoltre, tali diritti si caratterizzano per la loro perpetuità, per la loro inalienabilità e irrinunziabilità, nonché per la loro imprescrittibilità. Al fine di preservarne l’eredità culturale è prevista, poi, la trasmissibilità di alcuni diritti morali agli eredi dell’autore dopo la morte di quest’ultimo.[14]

Al contrario, nei Paesi di common law, quali gli USA, il fondamento del copyright assume un carattere solidamente utilitaristico, in quanto il legislatore attribuisce i diritti sull’opera affinché l’autore fornisca un incentivo nei campi dell’economia, della scienza e della letteratura,contribuendo, pertanto, al benessere sociale.[15][16]

Si sottolinea che, sebbene i diritti morali non trovino una base teorica all’interno dei sistemi giuridici suddetti, molti tribunali americani hanno provato ad utilizzare la legge dei contratti, le norme sulla concorrenza sleale e quelle sulla responsabilità extracontrattuale per tutelare meglio gli interessi degli artisti, sulla falsariga dei sistemi europei.[17]

Inoltre, alcuni Stati Americani, non ritenendo sufficiente la tutela dei diritti morali offerta dalla normativa federale, hanno approvato statuti nazionali per rispondere meglio alle esigenze degli autori.[18][19]

Soltanto dopo l’adesione degli USA alla Convenzione di Berna[20], il Congresso americano ha effettuato un’apertura, seppur limitata alle sole arti visive, al riconoscimento dei diritti morali approvando il Visual Artists Rights Act of 1990 (VARA)[21].

Infatti, nonostante la ratifica dell’accordo summenzionato, la successiva normativa di attuazione (“Berne Convention Implementation Act”[22]) non aveva contemplato alcuna previsione per adattare la legge sul diritto d’autore federale alle disposizioni relative ai diritti morali contenuti nell’art.6bis della Convenzione di Berna.

Con l’entrata in vigore del VARA è stata modificata la sez.301 del Copyright Act, riconoscendo, quindi, agli autori di opere d’arte visive la stessa sfera di diritti morali previsti dalla Convenzione suddetta. Si è riconosciuto, quindi, sia il diritto alla paternità dell’opera che il diritto di opposizione a qualsiasi alterazione dell’opera che possa risultare pregiudizievole per l’onore e/o la reputazione dell’artista. Inoltre, si è garantito agli autori il diritto di prevenire la distruzione di ogni opera di un certo livello artistico, nonché, ogni altra distruzione intenzionale o gravemente negligente.

Dottrina del “fair use”

La dottrina del fair use va descritta come una generale sistema di eccezioni e limitazioni ai diritti esclusivi riconosciuti dal diritto d’autore al titolare dell’opera creativa che, entro certi limiti, consente l’utilizzo della stessa senza un preventivo consenso di quest’ultimo.

Questo principio nasce nel XVIII secolo in Inghilterra e si sviluppa, prevalentemente in ambito giurisprudenziale negli Stati Uniti, fino alla sua codificazione all’interno del §107 del Copyright Act nel 1976. In base a quanto disposto da tale norma, dunque, va considerato lecito e non configgente con le disposizioni in materia di diritto d’autore l’utilizzo dell’opera nel caso in cui la compressione dei diritti dell’autore sia giustificata da un interesse generale, che viene ritenuto prevalente rispetto a quello personale del titolare, come ad esempio per ragioni di critica, cronaca, insegnamento, ricerca etc.[23]

La norma summenzionata, quindi, stabilisce che per potersi avere un’ipotesi di fair use devono necessariamente essere presi in considerazione quattro fattori: 1) lo scopo e il carattere dell’uso dell’opera (verificandone la finalità commerciale o meno); 2) la natura dell’opera; 3) la quantità di opera originale utilizzata; e 4) gli effetti potenziali sul mercato della sua commercializzazione.[24][25][26]

Radicalmente opposto è, invece, l’approccio europeo in materia di fair use. Nel Vecchio Continente, infatti, l’ambito di applicabilità di tale principio non è demandato ai giudici, ma è il legislatore a definire preventivamente una serie di ipotesi tassative in cui esso può essere applicato.

L’art. 5 della Direttiva InfoSoc. n.2001/29/CE, infatti, sancisce che gli Stati membri devono individuare una lista di limitazioni ed eccezioni da adottare nei singoli ordinamenti, che non può comunque esulare dalle ipotesi delineate a livello sovranazionale nella direttiva in esame. Ad ogni modo, l’art. 5 riconosce una certa discrezionalità ai Paesi membri di modo che essi possano adattare il sistema delle eccezioni e limitazioni alle proprie peculiarità socio-economiche, privilegiando attività in linea con la loro economia nazionale e penalizzandone altre che, altrimenti, potrebbero arrecare effetti negativi al mercato interno.

Pertanto, la linea di demarcazione tra i due sistemi in materia di fair use appare netta: mentre l’elasticità  dell’ordinamento americano, dovuta ad un suo approccio maggiormente utilitaristico, lo ha reso più facilmente adattabile a nuove tipologie di sfruttamento dell’opera nel contesto delle nuove tecnologie, ottimizzando la produzione e la diffusione di tali opere e contribuendo allo sviluppo di nuovi segmenti di mercato. Al contrario, la maggiore rigidità del sistema europeo ha garantito maggiore certezza rispetto alle ipotesi di applicabilità di tale principio, ma anche una maggiore lentezza nell’adattamento alle esigenze dell’economia di mercato moderna.[27]

Work for hire

Un ulteriore punto di divergenza tra la tradizionedi droit d’auteur europea e quella americana va, infine, individuata nella disciplina del copyright per le operecreate su commissione.

Infatti, mentre nei Paesi dell’Europa continentale sussiste una difesa più marcata degli interessi personali e patrimoniali dell’autore, al contrario, nell’ordinamento statunitense è previsto esplicitamente che, in tali casi, debba essere ritenuto autore dell’opera il committente se la stessa è stata creata all’interno del rapporto di lavoro tra le parti o anche in alcune ipotesi di lavoro autonomo.[28]

Infatti, la disciplina delle opere create su commissione (Work for hire doctrine), trova la sua fonte nel Copyright Act del 1976, il quale riconosce la titolarità originaria di tutti i diritti d’autore sull’opera al committente salvo patto contrario espresso, per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam come disposto dagli artt. 101 e 201(b).

Al contrario, nel Vecchio Continente su questo tema si registrano profonde differenze tra i singoli Stati membri. Ciascuno di essi, infatti, regolamenta  la materia in modo autonomo vista l’assenza di una normativa comune a livello europeo, eccezion fatta per alcune disposizioni del Trattato di Roma del 1988.[29]

Pertanto, la tutela del diritto d’autore nel lavoro per commissione non risulta omogenea e si passa da un approccio molto rigido sul piano delle tutele riconosciute all’autore come in Germania[30]e in Grecia, ad approcci più permissivi.

In Italia[31]e in Spagna[32], ad esempio, la dottrina del work for hire viene riconosciuta in determinate circostanze, mentre l’Olanda costituisce l’unico Paese europeo di civil law nel quale viene pienamente riconosciuto il principio in esame alla stregua delle legislazioni anglosassoni.[33]


Bibliografia:

[1]WIPO,The Berne Convention,Treaty, 1886;

[2]Sirotti Gaudenzi A., Il nuovo diritto d’autore, Maggioli, 2018;

[3]Consiglio, Direttiva relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore, direttiva,14/05/1991, 91/250/CEE;

[4]Consiglio, Direttiva per il coordinamento di alcune norme in materia di diritto d’autore e diritti connessi applicabili alla radiodiffusione via satellite e alla ritrasmissione via cavo, Direttiva, 27/09/1993, 93/83/CEE;

[5]Consiglio, Direttiva per l’armonizzazione della durata di protezione del diritto d’autore e di alcuni diritti connessi, Direttiva, 29/10/1993, 93/98/CEE;

[6]Parlamento Europeo e Consiglio, Direttiva per la tutela giuridica delle banche dati, Direttiva, 11/03/1996, 96/9/CE;

[7]Parlamento Europeo e Consiglio, Direttiva sull’armonizzazione di alcuni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella Società dell’Informazione, Direttiva, 22/05/2001, 2001/29/CE;

[8]Abriani N.-Cottino G.- Ricolfi M., Diritto industriale, in Cottino G. (a cura di), Trattato di diritto commerciale, II, Cedam, 2001;

[9]Damich E.J., The Right of Personality: a common law basis for the protection of the moral rights of authors, 1988, Georgia Law Review I, 7 e ss.;

[10]Kant I. L’illegittimità della ristampa dei libri, 1785, in Pievatolo M.C. (a cura di), Sette scritti politici liberi, University press, Firenze, 2011, 335 e ss.;

[11]Hegel G., Fenomenologia dello spirito, 1807, in Cicero V. (a cura di), Bompiani, 2000;

[12] Ubertazzi L.C., in Digesto delle discipline privatistiche, sez. comm., vol. IV, Utet, 1989, 364 e ss.;

[13]Jarach G. – Pojaghi A., Manuale del diritto d’autore, Mursia, 2014;

[14]Swack C., Safeguarding artistic creation and cultural heritage: a comparison of droit moral between France and United States, 1997-1998, Columbia -VLA Journal of Law and the arts, 404 e ss.;

[15]Sirotti Gaudenzi A., Il nuovo diritto d’autore, Maggioli, 2018;

[16]Khan, B., An Economic History of Copyright in Europe and the United States, 2008, EH.Net Encyclopedia, edited by Robert Whaples;

[17]Swack C., Safeguarding artistic creation and cultural heritage: a comparison of droit moral between France and United States, 1997-1998, Columbia -VLA Journal of Law and the arts, 383 e ss.;

[18]Swack C., Safeguarding artistic creation and cultural heritage: a comparison of droit moral between France and United States, 1997-1998, Columbia -VLA Journal of Law and the arts, 386 e ss.;

[19]Sherman R.J., International Conference on Comparative Constitutions: Note: The Visual Artists Rights Act of 1990: American Artists burned again, 1995, Cardozo Law Review, 373 e ss.;

[20]Ross D., The United States joins the Berne Convention: new obligations for authors’ moral rights, 1990, 68, North Carolina Law Review, 363;

[21]US Congress,Visual Rights Artists Act of 1990, Statute, 1990, 17 USC,§ 106A;

[22]US Congress, The Berne Convention Implementation Act, Statute, 1988;

[23]Leval P.N., Towards a Fair Use Standard, 103 Harvard Law Review 1105, 1989-1990, 1110 e ss.;

[24]The Supreme Court of the United States of America, Sony Corp. v. Universal City Studios, 464 US 417 (1984);

[25]The Supreme Court of the United States of America, Harper & Row v. Nation Enterprises, 471 US 539 (1985);

[26]The Supreme Court of the United States of America, Campbell v. Acuff Rose Music, (92-1992), 510 US 569 (1994);

[27]Senftleben M., Bridging the differente between copyright’s legal traditions – the emerging of EC Fair Use Doctrine, Journal of the Copyright Society of the USA, 2010;

[28]Jarach G. – Pojaghi A., Manuale del diritto d’autore, Mursia, 2014;

[29]JacobsR.A., Work-For-Hire and the Moral Right Dilemma in the European Community: A U.S Perspective, 1993,16 B.C. Int’l & Comp. L. Rev. 29);

[30]V. Art. 43 German COPYRIGHT LAW (URHEBERRECHTSGESETZ, URHG);

[31]V. artt. 7,39,88 L. 22/04/1941 n.633;

[32]V. art. 51, Ley de Propriedad Intelectual, Real Decreto Legislativo 1/1996, de 12 de abril;

[33]Kijak-Markiewicz K., https://photoclaim.com/en/part-1-differences-similarities-in-copyright-law-us-eu/, 10/10/2017.


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