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La giurisprudenza italiana sulla rilevanza e sui limiti del nome a dominio quale segno distintivo

di Carlo A.M. Corazzini


Nell’ambito di un’economia sempre più informatizzata, l’identificabilità di un’impresa sulla rete web rappresenta una scelta commerciale di indubbia rilevanza. In tale contesto, il nome a dominio assume un’importanza strategica, in quanto permette o facilita l’identificazione dei prodotti e dei servizi dell’impresa e consente una maggiore fidelizzazione della clientela.

Il nome a dominio, sfruttando le potenzialità della rete, consente all’impresa di posizionarsi su uno o più specifici mercati, permettendo la creazione di un valore (i) diretto in quanto la riconoscibilità dei prodotti di un’impresa sul web consente una maggiore commercializzazione degli stessi; (ii) indiretto in termini di pubblicità e di traffico connesso al sito web e all’acquisizione di dati personali, i quali consentono di effettuare campagne di lead generation e di marketing mirato sulla base dei dati acquisiti, aumentando così le vendite dei prodotti o dei servizi offerti.

Posta la scarna legislazione vigente sul tema, occorre domandarsi come la giurisprudenza si sia orientata nella definizione del perimetro della tutela riconosciuta ai nomi a dominio. A tal fine si analizzeranno, seppur brevemente e senza alcuna pretesa di esaustività: (i) le funzioni del nome a dominio alla luce della giurisprudenza formatasi sul tema e (ii) il conflitto tra nome a dominio e segni distintivi anteriori.

1.   Il nome a dominio: natura giuridica e funzioni

Il nome a dominio è un codice alfabetico che facilita l’accesso di un dispositivo alle risorse presenti sulla rete la cui attribuzione è regolata da un sistema facente capo all’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers)[1], società di diritto statunitense e senza fine di lucro che sovraintende, inter alia, l’attribuzione degli indirizzi IP e il sistema di denominazione dei nomi a dominio (“DNS”)[2].

Il nome a dominio si compone essenzialmente di tre elementi: (i) il suffisso “www”; (ii) il Second Level Domain (“SLD”), elemento modificabile a scelta del richiedente; (iii) il Top Level Domain (“TLD”) – che, in base alla classificazione AINA si distingue in nazionale (ccTLD), generico (gTLD) e infrastrutturale – la cui funzione è quella di indicare la provenienza geografica o lo scopo del sito (es. il suffisso “.com” denota un sito di natura commerciale)[3].

Le problematiche connesse all’assegnazione dei nomi a dominio si concentrano essenzialmente sul SLD, in quanto modificabile, scelto dal richiedente e unico elemento capace di dotare un nome a dominio di reale capacità distintiva, in quanto permette subito di identificare il sito sul quale si sta navigando. Nel presente articolo, quindi, i riferimenti al nome a dominio devono intendersi essenzialmente riferiti al SLD.

Il nome a dominio assume una funzione essenzialmente:

  • Tecnica, consistente nella possibilità di rendere raggiungibile un determinato sito sulla rete. In tal caso il nome a dominio assolve la funzione di “indirizzo telematico”; e
  • Distintiva, intesa quale garanzia ai consumatori della provenienza del prodotto[4], oppure quale segno utilizzato per identificare un determinato produttore/professionista all’interno del mercato[5].

Come rilevato da attenta dottrina[6], la funzione tecnica dei nomi a dominio può trarsi direttamente dal Regolamento 733/2002/CE (Considerando 3), in quanto essi “costituiscono parte integrante dell’infrastruttura di Internet e svolgono un ruolo di primo piano ai fini dell’interoperabilità del World Wide Web («WWW »o «Web ») su scala mondiale. […] I domini di primo livello costituiscono inoltre parte integrante di ogni indirizzo Internet di posta elettronica”.

La funzione distintiva, invece, seppur in un primo tempo non riconosciuta, è stata oggi definitivamente accolta sia dalla giurisprudenza – ormai unanime sul punto – sia dallo stesso Legislatore, il quale ha equiparato il nome a dominio agli altri segni distintivi tipici dell’imprenditore (v. art. 22, D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30)[7].

Tale duplice funzione è stata recentemente ribadita anche dalla Suprema Corte, secondo cui, sebbene si tratti di segni distintivi atipici, i nomi a dominio sono strumenti attraverso cui accedere ad un vasto mercato commerciale di dimensioni globali che consentono di identificare il titolare del sito web ed i prodotti e servizi offerti al pubblico, onde tali nomi rivestono una vera e propria capacità distintiva, in quanto non si limitano ad indicare la provenienza del prodotto o del servizio, ma svolgono una funzione pubblicitaria e suggestiva che ha la finalità di attrarre il consumatore, inducendolo all’acquisto[8].

Al di là della qualificazione del nome a dominio quale segno distintivo tipico o atipico, ciò che merita di essere segnalato in questa sede è come quest’ultimo abbia ormai unanimemente assunto una reale capacità distintiva dei beni e servizi dell’impresa, tanto da essere ormai equiparato ai segni distintivi tipici dell’imprenditore.

Da tale assunto, però, discende un problema di coordinamento tra la tutela da riconoscere al nome a dominio e ad eventuali segni distintivi anteriori, dando così luogo a conflitti di natura sistematica che devono essere necessariamente risolti in via interpretativa.

2.  Il conflitto tra nomi a dominio e segni distintivi anteriori

L’attribuzione dei nomi a dominio viene regolata dai seguenti principi:

  • unicità (o univocità) del nome a dominio;
  • first come, first served o tempestività/priorità della richiesta.

Da tali principi discende, però, un possibile conflitto tra l’attribuzione di un nome a dominio e un altro segno distintivo precedentemente registrato, ingenerando così una problematica priva di una disciplina legislativa specifica e che è stata nel tempo affrontata e risolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Si pensi, ad esempio, al caso in cui venga registrato un nome a dominio identico all’altrui marchio denominativo. In tal caso, qualora vi sia affinità o comunque identità merceologica tra l’impresa titolare del marchio e colui che ha registrato il nome a dominio, il conflitto deve essere risolto in favore del primo proprio alla stregua dell’art. 22, CPI, in quanto sussiste un rischio confusorio tra i prodotti/servizi delle imprese concorrenti che deve essere risolto in favore del titolare del marchio.

Tale assunto vale a prescindere dall’effettivo utilizzo del nome a dominio, in quanto priverebbe il titolare del marchio della possibilità di usarlo in rete, contravvenendo così al c.d. “principio di unicità dei segni distintivi”. Al titolare del marchio viene così riconosciuto il diritto di opporsi all’uso di un nome a dominio che rechi una parola chiave identica al suo marchio o ad altro suo segno distintivo, qualora l’uso dello stesso possa comprometterne le relative funzioni[9]. Ciò anche in quanto, nel campo della comunicazione telematica, un marchio rappresenta spesso, oltre ad un’indicazione di provenienza dei prodotti o dei servizi, uno strumento di strategia commerciale utilizzato, in particolare, a fini pubblicitari o per acquisire una reputazione per fidelizzare i consumatori che accedono a un sito internet[10].

Tutto quanto sopra vale, a maggior ragione, qualora il nome a dominio sia simile o identico ad un marchio notorio altrui, a cui il legislatore (art. 22, CPI) e la giurisprudenza riconoscono una tutela ultramerceologica. Le funzioni assunte dal marchio notorio, infatti, potrebbero essere pregiudicate dall’utilizzo di un nome a dominio che comporti per il registrante indebiti vantaggi derivanti dalla possibilità di associare lo stesso alla notorietà di detto marchio o determinare uno “sviamento di clientela, offuscamento di immagine, volgarizzazione del marchio”[11].

Fatto salvo tutto quanto sopra, preme ricordare in questa sede come la registrazione di un nome a dominio, basandosi su un sistema attributivo di natura convenzionale e non legislativa, debba ispirarsi, in ogni caso, a principi di correttezza e buona fede, i quali, come noto, costituiscono i principi ispiratori dell’agire dei singoli all’interno del nostro ordinamento giuridico.

Secondo la giurisprudenza formatasi sul tema, infatti, pur in assenza di divieti formali, eventuali registrazioni finalizzate all’ottenimento di indebiti vantaggi sarebbero contrarie ai suddetti principi e non meritevoli di tutela, traducendosi in un abuso del diritto da parte del registrante[12]. In tali ipotesi, pertanto, il giudice eventualmente investito della questione potrebbe sindacare e dichiarare inefficaci le registrazioni compiute in mala fede, oppure condannare colui che ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore del soggetto leso[13].

3.  Osservazioni conclusive

Le brevi considerazioni sopra riportate consentono di affermare che, alla luce della giurisprudenza formatasi sul tema, il nome a dominio abbia ormai unanimemente assunto un ruolo fondamentale nel sistema dei segni distintivi dell’impresa e nel sistema socio-economico, tanto da estendere a quest’ultimo le tutele previste dall’ordinamento in favore dei segni distintivi tipici dell’impresa.

Il riconoscimento della capacità distintiva del nome a dominio, però, determina anche l’insorgenza di potenziali conflitti con gli altri segni distintivi riconosciuti dall’ordinamento. Da ciò deriva la necessità per cui ogni impresa, prima di acquisire un posizionamento sul web, conduca un’attenta e approfondita ricerca finalizzata a stabilire se l’ipotizzato nome a dominio sia identico o comunque simile[14]all’altrui marchio o segno distintivo. Ciò consentirà di evitare non solo eventuali contestazioni connesse alla titolarità/confondibilità del nome a dominio utilizzato, ma anche di perdere eventuali investimenti in pubblicità finalizzati a garantire al proprio sito web un buon posizionamento sul mercato.


Bibliografia:

[1]Seppur di rilevante interesse giuridico e pratico, il presente articolo non analizzerà i criteri e gli organi coinvolti nell’assegnazione dei nomi a dominio.

[2]In Italia la funzione di Registration Authorityè rivestita dall’Istituto di Informatica e Telematica del CNR che svolge tale funzione per mezzo di un organismo all’uopo costituito, denominato registro.it, e deputato all’attribuzione dei ccTLD “.it” che contraddistinguono l’area geografica italiana.

[3]Seppur non oggetto del presente articolo, interessanti riflessioni sul tema dell’accessibilità a un nome a dominio nazionale (ccTLD) possono farsi con riferimento al nuovo Regolamento (UE) 2018/302 sul geoblocking e sul contrasto alla discriminazione ingiustificata dei clienti nel commercio online basata sulla nazionalità, il luogo di residenza o il luogo di stabilimento nell’ambito del mercato interno. Utili informazioni sul tema possono rinvenirsi cliccando qui.

[4]CGUE sentenza 22/9/11 in C-323/09

[5]CGUE 18 giugno 2009, causa C-487/07; Google Fr. e Google, 23 marzo10 in C-236/08

[6]FITTANTE A., La rilevanza del nome a dominio ed il conflitto con i marchi e gli altri segni distintivi, in Il Diritto Industriale n. 1/2018, 84 e ss.

[7] In particolare, secondo alcuni, il nome a dominio sarebbe riconducibile al marchio, mentre, per altri, all’insegna o alla ditta (v. Tribunale Venezia, 31/01/2017)equiparando il “luogo fisico” al “luogo virtuale” in cui l’imprenditore offre i propri prodotti e servizi.Secondo altri ancora, invece, il nome a dominio sarebbe qualificabile quale segno distintivo atipico (v.Tribunale di Napoli, Sez. I, 26 febbraio 2002). Per un’ampia ricostruzione del tema si rinvia a GARGIULO G., L’ultimo nato tra i segni distintivi: il nome a dominio, in Il Diritto Industriale n. 3/2015, 300 e ss.

[8]Cass. Civ., Sez. I, 18 agosto 2017, n. 20189 inGuida al diritto 2018, 12, 56 con nota (s.m.) di GAUDENZI S.

[9]v. CGUE sentenza 2 luglio 2010, causa C-558/08, Portakabin.

[10]v. Ord. Trib. Milano, 20/11/2015

[11]GARGIULO G., L’ultimo nato Tra i segni distintivi: il nome a dominio, in Il Diritto industriale n. 3/2015, 300 e ss.. Sul tema si veda anche HERCOLANI M.F., Il dominio web e il suo trasferimento, in Notariato n. 1/2017, 93 e ss.

[12]Sul punto FITTANTE A., La rilevanza del nome a dominio ed il conflitto con i marchi e gli altri segni distintivi, in Il Diritto Industriale n. 1/2018, 84 e ss. che a sua volta richiama TOSI E, “Domain Grabbing”, “Linking” e “framing” e utilizzo illecito di “meta tag” nella giurisprudenza italiana: pratiche confusorie online “vecchie” e nuove tra contraffazione di marchio e concorrenza sleale, in Rivista di Diritto Industriale, 2002, 371 e ss.

[13]Seppur non oggetto del presente articolo, si rileva come eventuali pratiche decettive o confusorie relative all’utilizzo di nomi a dominio altrui possono rilevare quali illeciti di natura concorrenziale ai sensi dell’art. 2598, c.c. Si tratta, ad esempio, dell’ormai nota pratica, diffusa soprattutto in passato, didomain grabbingin cui un soggetto registra un nome a dominio o un segno distintivo di titolarità di terzi al solo fine di appropriarsi della notorietà dello stesso e impedirne la registrazione al relativo titolare. A tale pratica si aggiunge il c.d. “cybersquatting” consistente nella registrazione di un marchio/patronimico altrui dotato di rinomanza al fine, sovente, di trasferirlo nuovamente al titolare previo corrispettivo.

[14]Per quanto attiene alle problematiche connesse alla somiglianza di un nome a dominio all’altrui marchio si richiama la nota pratica del c.d. “typosquatting”, o dirottamento di URL, che consiste nella registrazione di un domain namequasi identico al nome a dominio e/o marchio notorio altrui e contenente un refuso (es. un errore di battitura del SLD).


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