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Il reclutamento delle vittime di tratta: un fenomeno online

di Giada Crema

L’avvento di Internet ha dato il via ad una profonda innovazione del mondo che repentinamente ha assunto le vesti di ciò che oggi conosciamo. Tuttavia, come ben si sa, tale rivoluzione non ha apportato solo aspetti positivi, ma ha fornito un nuovo slancio all’attività criminale. Negli ultimi vent’anni si sono moltiplicati i siti che propongono servizi erotici ed è altresì noto come il meretricio sia spesso legato a doppio filo con la criminalità organizzata transnazionale, nascondendo una foltissima rete di sfruttamento sessuale, in particolare di donne e bambini provenienti da situazioni di disagio sociale ed economico. In tale rinnovato scenario, sfruttatori e trafficanti utilizzano le potenzialità di Internet e dei social media per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di prestazioni sessuali a pagamento, garantendosi un giro d’affari dai numeri spaventosi. Si stima che le vittime al mondo siano almeno 25 milioni[1], cifra triplicata negli ultimi 15 anni. Questi dati attestano la forte adattabilità del fenomeno della tratta che, nonostante l’avvento della pandemia da Covid-19 e il conseguente depotenziamento delle risorse di adescamento tradizionali, ha saputo sfruttare al meglio la dimensione online. Facebook e Instagram si attestano ai primi posti quali piattaforme utilizzate per l’adescamento di vittime, con un aumento rispettivo del 125% e 95% di segnalazioni di reclutamento rispetto all’anno precedente[2], pur rimanendo un fenomeno dalla quantificazione piuttosto difficoltosa.

Quando si parla di un fenomeno tanto complesso quale quello della tratta di essere umani, è bene specificarne gli elementi strutturali non solo a livello criminologico ma anche giuridico. Utilizzando le parole dell’art. 601 c.p., il fenomeno della tratta di esseri umani consiste nel reclutamento, trasferimento e sfruttamento “mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che (sulle vittime) ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi”. Nel caso specifico della tratta per scopi di sfruttamento sessuale, le potenzialità di Internet sono state massimizzate per il potenziamento della prima fase, ossia del reclutamento. Ciò avviene per lo più grazie all’impiego dei social media e di alcune tecniche specifiche che garantiscono la costruzione di vere e proprie trappole per trarre in inganno le potenziali vittime. L’analisi criminologica del fenomeno ha permesso di individuarne almeno 3. La prima è la consolidata tecnica del lover boy, particolarmente efficace e redditizia. Attraverso profili fittizi, i criminali contattano le vittime, solitamente minori e inconsapevoli, innescando un lungo corteggiamento e la promessa di una vita agiata insieme. Tale atteggiamento di affetto nei confronti della giovane favorisce la costruzione di un sentimento di fiducia verso lo sfruttatore, che muta presto in un rapporto sempre più oppressivo al preciso scopo di isolare la vittima dalla propria famiglia e convincerla, per amore, a lasciare il proprio paese di provenienza. A questo punto, nonostante siano chiari gli intenti reali dello sfruttatore, la persona si troverà in una situazione di assoggettamento ed isolamento tale da essere in totale balia del proprio oppressore. Si stima che nel 2020, il 39% delle vittime sia stato reclutato attraverso partner intimi e proposte di matrimonio fittizie[3], rendendo l’amore uno degli strumenti di soggiogamento più potenti ed efficaci.

La seconda tecnica di adescamento appare simile alla precedente, anche se è del tutto differente la modalità di assoggettamento psicologico. In questo caso, il contatto tra le parti avviene attraverso app di messaggistica, siti di incontri con disponibilità di chat e, ancora una volta, social networks. La finalità dell’approccio è quella di instaurare una comunicazione a sfondo sessuale, attraverso la quale indurre la vittima ad inviare materiale pornografico ritraente la stessa. Attraverso questo strumento, viene attuata la cosiddetta sextortion, ossia l’ottenimento della completa sottomissione della vittima grazie alla minaccia di diffusione delle foto e dei video o di invio degli stessi ai familiari. In altri casi, invece, l’avvicinamento online avviene allo scopo di ottenere un incontro fisico tra i due, assumendo i tratti del fenomeno noto come child grooming.

In terzo luogo, l’adescamento può avvenire attraverso falsi annunci di impiego che promettono stipendi allettanti, condizioni di lavoro favorevoli e formazione professionale. Solitamente, il posto di lavoro è situato piuttosto lontano dalla zona di pubblicazione dell’offerta, fino a richiedere il trasferimento in un nuovo Stato. Questa tecnica è particolarmente efficace nei confronti di giovani donne provenienti da situazioni di disagio, per le quali la prospettiva di un’occupazione in uno Stato maggiormente benestante costituisce un’opportunità allettante per uscire da una situazione di svantaggio sociale e prestare aiuto economico alla famiglia di origine.

Un esempio paradigmatico del peso dei social nel reclutamento delle vittime è rappresentato dal noto caso Doe v. Facebook Inc., approdato alla Corte Suprema degli Stati Uniti nel marzo del 2022. La vicenda risale al 2012, quando un uomo utilizzò Facebook per approcciare la ragazza 15enne. I due ebbero un incontro, durante il quale l’uomo violentò la ragazza per poi rapirla e costringerla alla prostituzione. Quest’ultima riuscì a fuggire e il 1 ottobre 2018 instaurò una causa nei confronti di Facebook per la violazione della legge anti tratta dello Stato del Texas e grave negligenza. Doe sostenne che Facebook utilizzasse algoritmi specifici per classificare gli utenti e inserirli in gruppi di micro-targeting, indirizzando le persone verso gli utenti che vorrebbero incontrare e facilitando in questo modo il meccanismo dell’adescamento. Inoltre, la ragazza sostenne che Facebook sarebbe stato a conoscenza del pericolo di tratta sessuale ma che non abbia fornito alcun avvertimento in merito. In questo senso, lamenta che all’atto dell’approccio da parte dell’uomo fossero visibili molteplici segnali di pericolo, ma che la piattaforma non fosse provvista di alcun sistema di riconoscimento e allarme della presenza di tali elementi. Nel 2019 il Tribunale del Texas ha respinto le mozioni di archiviazione di Facebook, il quale si era appellato al precedente ormai consolidato della stessa Corte riguardante la concessione di immunità ai sensi della Sezione 230 del Federal Communications Decency Act. Secondo tale provvedimento legislativo, il fornitore di un servizio informatico interattivo agisce come editore nei confronti delle dichiarazioni di terzi pubblicate sulla stessa, sollevandola, dunque, da qualunque responsabilità. Proprio questa norma venne più volte utilizzata quale scudo da parte dei Provider (ISP), garantendogli l’immunità anche in precedenti casi di abusi su minori e vittime di tratta. Purtroppo, la causa Doe v. Facebook è tutt’ora in corso, ma tale vicenda spinge a considerare quale tipo di tutela sarebbe stato possibile richiamare nel caso in cui una simile vicenda fosse accaduta in Italia. L’ordinamento nazionale dispone degli art. 16 e 17 del d.lgs. 70 del 2003 che stabiliscono due regole generali: in primo luogo, non vi è un obbligo generale di sorveglianza da parte dell’ISP sui contenuti veicolati; in secondo luogo, l’ISP è responsabile per il contenuto pubblicato sulla propria piattaforma nel caso in cui lo stesso abbia avuto contezza della sua illiceità. Tale consapevolezza vincola l’ISP solamente se il contenuto è manifestamente illecito, oppure se stabilito tale da un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Tuttavia, è piuttosto immediato capire come tale norma mal si confaccia ad un caso quale quello della tratta. Pensando ad un annuncio di lavoro, seppur fittizio, non sarà possibile individuare alcun elemento di illiceità, sicché le piattaforme non potranno mai giocare ruolo attivo nella diffusione di tale inganno, rendendo il fenomeno criminoso ancor più pericoloso. Si pensi a tal proposito, che l’età minima per l’iscrizione di un utente a Facebook o Instagram è di 13 anni, ma che spesso vi si affacciano ragazzi di età ben inferiore mentendo sulla propria data di nascita.

Ciò dimostra l’estrema complessità dello studio e dell’investigazione di un fenomeno sommerso ma radicalmente diffuso quale quello della tratta. L’utilizzo di Internet ha ulteriormente aggravato la difficoltà di scovare ed investigare il fenomeno, pur assicurando profitti ancor più consistenti agli sfruttatori. Ciò che risulta necessario è un’azione coordinata da parte degli Stati che sia in grado di creare una rete di collaborazione efficace, anche e soprattutto grazie al coinvolgimento degli ISP, nei cui confronti pare necessario ripensare a forme di responsabilità giuridica per il caso specifico. La figura di quest’ultimi risulta cruciale nella formulazione di policy e strumenti di sorveglianza che siano efficaci e tutelanti nei confronti degli utilizzatori, specie con riguardo a ciò che viene pubblicato dagli stessi. Fondamentale a tale proposito è creare consapevolezza nell’utente. Un primo passo potrebbe consistere nell’adozione da parte dei siti a rischio di un servizio che permetta di segnalare gli annunci potenzialmente criminosi e che attui un segnale di allerta alle autorità competenti. Vi sono, infatti, alcune caratteristiche in un annuncio online di prestazioni sessuali che, seppur con estrema cautela e solo se presenti contestualmente, potrebbero far pensare ad una possibile vittima di tratta. Tra questi si trovano la giovane età, la nazionalità straniera, la presenza di fotografie professionali che portino a pensare alla presenza sottesa di una organizzazione strutturata e di errori di ortografia nel testo, quali indicatori ulteriori della provenienza della vittima[4]. Oltre a questo, la tutela dei propri utenti potrebbe passare attraverso campagne di sensibilizzazione da veicolare attraverso gli strumenti di diffusione della piattaforma. Come si è visto, essendo molto difficile riuscire a cogliere il carattere fittizio di un post, gli ISP dovrebbero provvedere a mettere in guardia gli utenti della possibilità che si verifichino situazioni di pericolo e indicare i segnali per poterle riconoscere. Questo soprattutto a partire dagli account aperti da minori di età, nei cui confronti gli ISP dovrebbero essere onerati di obblighi di protezione e sicurezza rispetto ai contenuti e ai profili cui si interfacciano. In questo senso, dunque, appare ragionevole, anzi doveroso, applicare quanto affermato dalla Commissione Europea che, con le nuove linee guida del 2017[5], ha inteso aggravare gli oneri di vigilanza degli ISP sancendo non solo il cosiddetto “take down”, ossia l’esigenza di una regolamentazione che renda tempestiva l’eliminazione di contenuti lesivi, ma anche lo “stay down”, ossia l’esigenza di prevenire la ricomparsa di contenuti analoghi a quelli già oggetto di oscuramento.

In definitiva, lottare contro il fenomeno della tratta significa comprendere che il problema è globale ma che ognuno può essere parte della soluzione.


BIBLIOGRAFIA

Commissione Europea, Lotta ai contenuti illeciti online. Verso una maggiore responsabilizzazione delle piattaforme online, Comunicazione, 28 settembre 2017, COM (2017) 555 final.

DI NICOLA A. et al., Dal marciapiede all’autostrada digitale: uno studio sul web come fonte di informazioni su prostituzione e vittime di tratta in Italia, in Rassegna Italiana di Criminologia, n. 3, 2013.

GOISIS L., L’immigrazione clandestina e il delitto di tratta di esseri umani. Smuggling of migrants e trafficking in persons: la disciplina italiana, atti del Convegno “Il diritto del mare” tenutosi all’Università di Sassari, il 24 ottobre 2014.

HEIL E., NICHOLS A., Hot spot trafficking: a theoretical discussion of the potential problems associated with targeted policing and the eradication of sex trafficking in the United States, in Criminal Justice Review, n. 17 (4), 2014.

LATONERO M., Human Trafficking Online. The Role of Social Networking Sites and Online Classifieds, University of Southern California, settembre 2011.

MINISTERO DELL’INTERNO, La tratta degli esseri umani in Italia. Focus, marzo 2021, reperibile al sito https://www.interno.gov.it/it/stampa-e-comunicazione/dati-e-statistiche/tratta-esseri-umani-italia.

POLARIS, Human Trafficking in Illicit Massage Businesses, gennaio 2018, reperibile al sito https://polarisproject.org/resources-and-reports/.

ID., Human Trafficking Trends in 2020, 2020, reperibile al sito https://polarisproject.org/wp-content/uploads/2022/01/Human-Trafficking-Trends-in-2020-by-Polaris.pdf.

 

[1] United Nations Office on drugs and crime, Global Report on Trafficking in Persons 2020, United Nations Publication, Gennaio 2021.

[2] Polaris, Human Trafficking Trends in 2020, disponibile al sito https://polarisproject.org/wpcontent/uploads/2022/01/Human-Trafficking-Trends-in-2020-by-Polaris.pdf.

[3] Ibidem.

[4] DI NICOLA A. et al., Dal marciapiede all’autostrada digitale: uno studio sul web come fonte di informazioni su prostituzione e vittime di tratta in Italia, in Rassegna Italiana di Criminologia, n. 3, 2013.

[5] Commissione Europea, Lotta ai contenuti illeciti online. Verso una maggiore responsabilizzazione delle piattaforme online, Comunicazione, 28 settembre 2017, COM (2017) 555 final.


Autrice:

Giada Crema

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