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Il totalitarismo individuale come nuova forma di società

Brevi note a: Eric Sadin, Io tiranno – La società digitale e la fine del mondo comune, ed. Luiss University Press, Roma, 2022, trad. Francesca Bononi

di Manuela Bianchi


…Ben presto si delineeranno due realtà ben distinte: da una parte l’ordine collettivo, costituito da usanze, regole e leggi, e dall’altra la moltitudine degli individui fatti della loro singolarità, della loro biografia e delle loro inclinazioni…A poco a poco, al principio di una comunità di cittadini uniti da alcuni valori fondamentali e decisi a fare forza tutti insieme sul loro futuro, si sostituirà il principio di un nugolo di presenze che si rimetteranno, volenti o nolenti e sopra ogni cosa, ai loro desideri, alle loro preferenze e alle loro energie.

Eric Sadin, filosofo e scrittore francese, da anni studia l’impatto della tecnologia sulla vita comune, ponendo l’attenzione sui collegamenti tra rivoluzione digitale e capitalismo digitale.

Prima di “Io tiranno – la società digitale e la fine del mondo comune”, in Italia sono apparsi “Critica della ragione artificiale. Una difesa dell’umanità”, pubblicato da Luiss University Press nel 2019, e “La siliconizzazione del mondo”, edito da Einaudi l’anno precedente.

Nell’opera oggetto della presente analisi, l’Autore si focalizza sul ruolo da amplificatore che il digitale ha avuto e continua ad avere su tutti i processi di rottura che la società ha visto realizzarsi negli ultimi anni. La tesi dello studioso è che, a seguito di una perdita di fiducia verso lo Stato sociale come collettore di istituzioni, principi e valori, si è formato un soggetto nuovo: l’individuo tiranno, “un essere ultra-connesso, intrappolato nella sua soggettività, convinto di essere il centro del mondo e di sapere e potere tutto”.

Come si è arrivati a questo essere nuovo, a questo Io tiranno, appunto?

Sadin esordisce con una breve e interessante storia dell’individualismo liberale, che iniziò nel XVIII secolo, trovò la sua maggior fortuna teorica con l’Illuminismo e visse un principio di crisi all’inizio del XIX secolo. Questa corrente di pensiero vide l’integrazione degli ideali di libertà e autonomia con una solida concezione di coesione sociale, in una società votata a far prevalere l’uguaglianza dei diritti e il bene comune. Senonché questo pensiero, applicato all’interno delle potenze industriali che si andavano formando all’inizio del XIX secolo, ottenne l’effetto contrario: l’inasprimento delle disuguaglianze, la generalizzazione di condizioni di lavoro degradanti e il depauperamento continuo. Questa situazione sembrò cambiare al termine dei due conflitti mondiali, quando, con la rinascita delle democrazie liberali, riaffiorò la convinzione secondo cui, per fare in modo che la libertà individuale costituisse l’assioma principale, era necessario imporre un equilibrio armonioso tra i legittimi desideri dei singoli e la coesione generale. Si ebbe, in sostanza, un nuovo patto sociale, che entrò definitivamente in crisi negli anni Settanta, con i primi movimenti di delocalizzazione industriale e i licenziamenti di massa, per poi trovare una nuova vita dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) e la nascita del social-liberismo. Senonché, dalla seconda metà degli anni Novanta la concezione di coesione sociale, declinata nelle sue molteplici forme, si è dissolta proporzionalmente alla velocità con cui si andava affermando il capitalismo digitale.

E così arriviamo ai nostri giorni, che vedono l’atomizzazione e la “monedizzazione” della società, da intendersi come un primato sistematico di sé sull’ordine comune, la ricerca di una sovranità individuale che non riconosce alcuna istituzione al di sopra del suo libero arbitrio, incapace di limitare la propria libertà in favore di un bene comune e di creare uno spazio condiviso con i propri simili. Questo porta allo spossessamento di sé, all’intendere la vita come un’esperienza esclusivamente soggettiva, che si manifesta con quella che Sadin chiama “espressività”: gli individui cercano conforto e pretendono di dare prova della propria singolarità attraverso l’esposizione pubblica di sé, facilitata dall’uso smodato dei social network, in base al principio per cui “se non è pubblicato sulle piattaforme quell’evento non è esistito”, fino all’extrema ratio per cui se non pubblico un mio selfie, non esisto.

Immagine e parola sono gli imperativi a cui l’individuo, nella sua solitudine e singolarità, risponde. “I social network producono una scarica di logorrea elettrizzata, diffusa in tutto il pianeta”: significa che la parola è preponderante su tutto a discapito dell’azione, che nelle migliori delle ipotesi assume un ruolo secondario, e non sempre è accompagnata dall’obbligo di assumersi delle responsabilità per le questioni comuni. In sostanza, il proliferare della parola ha come caratteristica principale quella di trascurare sempre di più la partecipazione concreta alla vita pubblica. L’unica cosa per cui sembra valer la pena combattere è la propria opinione, così ognuno difende ciò che dice e che pensa come una monade, senza alcun collegamento e confronto con gli altri, in un mondo urlato in cui le urla di ciascuno non sono ascoltate da nessun altro.

Ne deriva la consapevolezza di dover fare affidamento soprattutto su sé stessi, o, al massimo, sulla propria cerchia ristretta, considerando gli altri come ostacolo alla propria volontà, ai propri desideri, alla propria riuscita. Questo mina la vita sociale e può portare solo alla anomia, intesa come mancanza di rispetto nei confronti delle regole comuni e l’emergere di forme di caos: l’uomo ha perso del tutto la fiducia nello Stato,  che perde la sua centralità e importanza, in favore dell’individualismo. Sadin parla quindi di “totalitarismo della moltitudine”, il dare priorità solo e soltanto ai propri punti di vista, nella misura in cui ci si considera vittime di una società che ha fallito e su cui non si può più contare.

Sadin conclude con una previsione: negli anni del post coronavirus emergerà un “fascismo individuale atomizzato”, folle di individui che si affidano esclusivamente alle loro convinzioni forgiate dal risentimento e che sono determinati a ottenere ciò che pensano che spetti loro. Questo segnerà la fine della società per come l’abbiamo sempre conosciuta, ovvero un insieme di persone che condividono principi, regole e verità e che definisce, previa concertazione, le condizioni di una vita collettiva sostenibile.

La speranza è che, sebbene la nostra condizione di solitudine non potrà cambiare, decideremo di viverla cercando comunque di instaurare rapporti con gli altri, unendo all’uso sfrenato del linguaggio l’azione concreta e responsabile, anche, ma non solo, fuori dal mondo digitale.


Autrice:

Manuela Bianchi

 

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