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La privacy è (anche) un’arte

Brevi note a: L. Bolognini, L’arte della privacy – Metafore sulla (non) conformità alle regole nell’era data-driven, ed. Rubbettino, Catanzaro, 2022

di Manuela Bianchi


L’arte può liberare il tecnologo, l’innovatore e il neo-giurista dalle sue gabbie digitalizzate, iniettando elementi di creatività, sorpresa, sregolatezza che fungono da indispensabile ossigeno per far bruciare ancora meglio la fiamma scientifica.”

Ho ricevuto questo libro inaspettatamente i primi giorni di dicembre e, al di là della certezza sulla competenza dell’Autore in merito a entrambi i temi trattati, ho sorriso compiaciuta alla lettura del titolo, provando quasi una sensazione di “riconoscimento” verso un’idea che ho sempre avuto in testa: il legame tra arte e diritto è molto più stretto di quel che si possa credere e Bolognini ce lo dimostra molto bene.

In undici capitoli l’Autore ci accompagna in un percorso metaforico dove, partendo da un quadro o da un artista del periodo a cavallo tra il Cinquecento e l’Ottocento, riesce a dimostrare, da un lato, che il rispetto e gli adempimenti della compliance privacy e dei diritti digitali possono essere affrontati in maniera diversa, più creativa e artistica, e dall’altro, che un dipinto può essere letto anche da un punto di vista giuridico.

Invero, l’ampiezza dei paesaggi ci insegna che è fondamentale allontanarsi dalla questione oggetto di esame per avere una visione d’insieme, perché i principi e le norme giuridiche devono essere inseriti nel panorama complesso della realtà in cui dovranno essere applicati e l’analisi del solo punto critico, avulso da ciò che lo circonda e in cui è immerso, può risultare fuorviante, incompleto, talvolta non del tutto strategicamente corretto. Bolognini porta l’esempio dei nove principi generali del GDPR, a cui non si potrebbe dare attuazione senza collocare il trattamento dei dati personali in uno scenario prospettico d’insieme. Ne consegue che “nell’analisi legale, a maggior ragione se applicata a contesti fortemente intrisi di tecnologia e di innovazione, è dunque importante coltivare una sorta di educazione interiore al distanziamento interpretativo.”

Arguto e inaspettato definire manager ante litteram Giulio Romano, pittore nato a Roma alla fine del Quattrocento, che lavorò con Raffaello, del quale ereditò la bottega e le commissioni e poi diventato artista di corte dei Gonzaga. Proprio questo suo essere artista di corte lo ha portato ad avere conoscenze eclettiche, quindi, oltre che pittore, Giulio Romano fu architetto, ingegnere, arredatore, progettista, direttore dei lavori, grafico e sicuramente qualcos’altro. E quale figura nel mondo giuridico/aziendale deve essere così eclettica? Il DPO, il Data Protection Officer, che deve “informare e fornire consulenza al proprio committente” in materia di protezione dei dati, “sorvegliare l’osservanza aziendale della disciplina privacy, comprese l’attribuzione delle  responsabilità, la sensibilizzazione e la formazione del personale (…), fornire, se richiesto, pareri per le valutazioni d’impatto sulla protezione dei dati e vigilarne lo svolgimento.” Senza dimenticare il ruolo di referente dell’azienda nei confronti dell’Autorità garante e verso tutti gli interessati per la tutela dei loro diritti. Di tutto ciò il DPO deve riportare al vertice gerarchico, proprio come un top manager.

Intrigante si rivela poi lo spunto che due quadri, uno del Seicento italiano e l’altro dell’Ottocento olandese, portano Bolognini a paragonare l’arte dell’oscuramento pittorico a quella dell’avvocato nel suo ruolo di restauratore, a maggior ragione quando ha a che fare col diritto dei dati e delle tecnologie. L’uso del buio e dello scuro nei quadri serve, tra l’altro, a dare maggiore rilievo ai soggetti e agli oggetti che il pittore vuole evidenziare, che risalteranno maggiormente su uno sfondo scuro in cui uno o più punti di luce vanno a illuminare la scena rappresentata. Tutto ciò che resta al buio in realtà c’è, un occhio attento può accorgersene e si renderà conto anche della cura dei dettagli di queste parti di dipinto apparentemente non “importanti”. Gli esempi del buio e dell’oscuramento in campo tecnologico/giuridico riportati dall’Autore sono molti, tra cui il brainstorming, tecnica di orientamento strategico in base a cui si lascia fluire il pensiero, si fanno libere associazioni di idee, senza pregiudizi e preconcetti, perdendosi, staccando le àncore dal conosciuto e ripetibile per raggiungere territori inesplorati. O, ancora, la navigazione in forma anonima su internet, rifiutando i cookie o altro tracciatore comportamentale: in questo modo faremo l’esperienza di una navigazione al buio, senza che nessun algoritmo decida per noi che cosa leggere, comprare, guardare. Solo in questo modo la nostra mente inizierà a concepire new born data, informazioni e collegamenti neurali in altro modo impensabili. Qual è il nesso tra tutto questo e l’avvocato/restauratore? Il mestiere del restauratore è assai difficile e prezioso. Quando viene svolto bene, riesce a togliere la patina che il tempo ha spalmato sull’opera e fa emergere l’opera com’era in origine, con le sue luci e le sue ombre. Lo stesso accade quando in un’azienda non si mette mano alla compliance per troppo tempo, mantenendo documentazione, processi organizzativi e tecnologici vetusti, non aggiornati, coperti di polvere stantia e, pertanto, non più idonei alla vita della complessa organizzazione aziendale che, nel frattempo, si è evoluta e modificata, così come si sono evolute e modificate le leggi e i regolamenti. È qui che allora interviene l’avvocato/restauratore, in grado di eliminare quella patina per fare riaffiorare ciò che serve, affinché la macchina aziendale funzioni bene e lecitamente, senza attriti con l’ordinamento esterno e interno.

Continuerei a raccontare questo libro a oltranza, ma voglio lasciare ai lettori il gusto di meravigliarsi di fronte a un approccio al diritto che riesce a rendere romantica la professione di “privacysti”, di esperti del diritto dei dati e delle tecnologie.

Come ha dichiarato l’Autore, il libro è dedicato sia agli specialisti del settore, per liberarsi dalle catene della specializzazione, sia ai neofiti, affinché possano guardare in modo più ampio alla materia. Bolognini riesce a portare argomenti complessi in maniera (apparentemente) leggera e divulgativa, spronando costantemente il lettore a riflessioni diverse rispetto a quelle cui è abituato, rispetto al modus operandi collaudato che rischia di portare sempre le solite risposte. Molto potente si rivela l’associazione concetto e immagine, dove la metafora artistica obbliga chi legge a fare uno sforzo intellettivo in più, che non è solo quello della mera lettura di un testo, ma anche l’osservazione e la descrizione dell’immagine, la comprensione del messaggio dell’opera, il suo contesto storico e umano. E poi, l’accostamento privacy e arte visiva non ricorda i principi del legal design, le icone sviluppate anche dal Garante per la comprensione immediata dei dettami del GDPR?


Autrice:

Manuela Bianchi

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